Il 1961 fu un anno prodigioso per il cinema. Sono uscite, infatti, pellicole come “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards, “Lo spaccone” di Robert Rossen, “Gli spostati” di John Huston, ultimo film per Clark Gable e Marilyn Monroe, “La carica dei 101”, diciassettesimo classico Disney e in Italia “Accattone” di Pasolini, “La ragazza con la valigia” di Monicelli e “La notte” di Michelangelo Antonioni. Ma il vero vincitore di quell’anno è “West Side Story” con i suoi 10 Oscar, gli incassi stratosferici in tutto il mondo, le strepitose musiche di Leonard Bernstein e le innumerevoli repliche sui i palcoscenici di Broadway e non solo. Perché “West Side Story” nasce come musical da palcoscenico.
A 60 anni di distanza dall’uscita del film, un regista straordinario come Steven Spielberg sta rispolverando le capacità uniche di questa pellicola girando un remake. Ed è un regista ebreo! Non dico questa cosa a caso, visto che “West Side Story” ha una storia ebraica. Il testo originale infatti prevedeva come ambientazione non il West Side ma piuttosto l’East Side e doveva essere ambientato proprio a Manhattan, durante la festività di Pesach, dove i protagonisti non erano dei giovani americani e portoricani, ma la faida avrebbe dovuto coinvolgere una banda di cattolici e una banda di ragazzi ebrei americani. Ma l’idea fu abbandonata dai creatori dell’opera, perché c’era stato un film di qualche anno prima “Abie’s Irish Rose” che affrontava temi simili.
Poi, l’opera nasce da alcune personalità d’eccezione come il librettista Arthur Laurents, pseudonimo di Arthur Levine, il paroliere Stephen Joshua Sondheim, anche lui ebreo, autore di alcuni dei musical più strepitosi di sempre da “Little night music”, “Sweeney Todd” e “Gypsy”. Ma la lista non sarà completa senza il nome di un grande coreografo come Jerome Robbins, vero nome Jerome Wilson Rabinowitz, ebreo, anche lui, nato e cresciuto a Manhattan. Oltre ovviamente alle musiche di Leonard Bernstein, compositore e direttore d’orchestra e personalità di spicco della cultura ebraica. Perciò vedere il nome di Steven Spielberg abbinato ad quello che fu una delle massime espressioni del teatro, e del cinema, musicale, creato da alcuni degli esponenti più illustri del mondo ebraico americano, non ci sembra improprio.
Ma anche dal punto di vista tematico ”West Side Story” non scherza: superando l’universalità della storia d’amore shakesperiana (Romeo e Giulietta), è il tema dell’integrazione razziale che colpisce di più. Temi che Spielberg conosce bene e che gli ebrei hanno affrontato in una maniera, certo più complessa e dolorosa, ma che di cui cenni si trovano nell’opera finale di Bernstein-Laurents.
Spielberg, con Tony Kushner, il suo sceneggiatore, hanno firmato uno script più fedele all’originale del film mentre David Newman, figlio del ben 9 volte Premio Oscar compositore Alfred Newman, ha arrangiato le musiche di Bernstein.
Degli attori dobbiamo aspettare la visione del film ma mi preme segnalare il ritorno di Rita Moreno, classe 1931, attrice che ha vinto l’Oscar proprio in “West Side Story” nella parte di Anita, in un cameo.