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    Rabbini di Roma nell’800 – Rav Giacobbe Fasani e il “Caso Mortara”

    Nel giugno 1858, a Bologna, un bambino ebreo di quasi 7 anni, Edgardo Mortara (1851-1940) figlio di Salomone (Momolo) e di Marianna Padovani, fu prelevato a forza dalla casa dei genitori con un ordine dell’Inquisizione e portato a Roma per essere educato alla religione cristiana. Perché mai? La giustificazione delle autorità ecclesiastiche era che il bambino era stato battezzato, seppur clandestinamente, all’età di circa un anno dalla domestica cattolica. I genitori del bambino subito protestarono e il caso suscitò uno scalpore internazionale che coinvolse l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti. Che ruolo ebbero le comunità ebraiche, a partire da quella di Roma, e in special modo i rabbini? 

    Diversi documenti sono presenti nell’Archivio Storico della Comunità ebraica di Roma (Ascer). Rav Giacobbe Fasani (1790-1866), di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, era il facente funzioni di rabbino maggiore di Roma in quegli anni. Scrisse lettere a diversi rabbini d’Italia, in ebraico com’è d’uso nella corrispondenza fra rabbini, soprattutto quando si tratta di questioni che si vuole lasciare riservate. Ciò era anche in linea con la politica dei capi della Comunità romana, che non volevano inimicarsi ulteriormente le autorità pontificie.

    Rav Fasani non si limitò a inviare lettere ai rabbini italiani, ma si rivolse anche alle Comunità ebraiche europee. Nella lettera mandata alla Comunità di Amsterdam scriveva:

     

    Io sottoscritto vengo a testimoniare in verità che […] un uomo amareggiato nel profondo dell’anima di nome Salomone (Momolo) Mortara della città di Reggio di Modena, residente a Bologna, da cui tre mesi or sono [alcuni uomini] vennero con infamia e rapirono dalle sue braccia e dal seno della madre desolata uno dei loro figli, tenero e dolce, di nome Gad Yosef (Edgardo), di 6 anni circa, perché quando aveva un anno la domestica non ebrea […] gli versò sopra dell’acqua amara e l’hanno portato qui in città [Roma] e ora lui si trova in mano loro. Ed ecco, i capi della nostra comunità mai tacquero, chi con preghiere e suppliche al Dio di giustizia, chi con parole e scritti presso i ministri e i loro funzionari, ma fino adesso hanno faticato invano, e nessuno parla di restituire [il bambino, oppure di rispondere]. Perciò ogni uomo pio reciti preghiere che escano dal profondo del cuore […]. 

    Qui Roma, giovedì 17 Tishrì 5619 [=25.9.1858]. 

    Il facente funzioni di rabbino, il cui cuore trema e teme.

     

    La Comunità di Amsterdam mandò una risposta con una lettera scritta in bella grafia ebraica corsiva, molto chiara (vedi immagine), in cui si legge:

     

    Con l’aiuto del Signore, Amsterdam, vigilia del Sacro Shabbat, 28 Marcheshwan 5619 [=5.11.1858]

    Al caro e onorato Chakham nella Torà, Maestro Rav Ya‘aqov Yosef Fasani, facente funzioni di Rabbino Maggiore nella Santa Comunità di Roma. Il Signore ti benedica da Sion! Dalla Sua cara lettera di domenica 8 Tishrì scorso [16.11.1858] abbiamo sentito la notizia, e il nostro ventre ha ribollito d’ira a causa dell’iniquità commessa nei confronti del bambino Gad Yosef, rapito dalle braccia dei suoi genitori per l’azione malvagia della serva affinché abbracciasse una fede straniera, e in essa [nella lettera, Lei] ha chiesto anche da noi di adoperarsi, con l’aiuto del Signore, per salvare il rapito dalla mano dell’oppressore. Ora comunichiamo a Sua Eccellenza che abbiamo fatto secondo il Suo desiderio. Ci siamo recati presso i consiglieri del Regno, abbiamo parlato al loro cuore affinché si alzino e si ergano con forza a favore del suddetto bambino e di tutti i nostri fratelli che risiedono nel Suo Paese. Essi ci hanno pienamente rassicurato con parole di bontà e amore che esaudiranno il nostro desiderio andando a parlare con il Re, nella misura in cui è loro possibile sulla questione suddetta. Noi speriamo che il Signore dia successo a loro e anche agli altri uomini di valore che si sono adoperati per raggiungere lo scopo prefisso, e il bambino torni presto sotto le ali del D. d’Israele. Che il Signore abbia misericordia del resto del Suo popolo, e lo raduni in un tempo non lunghissimo dai quattro angoli del mondo per riportarlo come in passato nella loro terra e al loro possesso.

    I 24 Parnasim e guide della Santa Comunità ashkenazita di Amsterdam

    Shelomo Shemuel ben Azriel Mulder, Presidente del Wa‘ad [Consiglio] 

     

    Rav Fasani stabilì anche che nelle sinagoghe di Roma venissero recitate preghiere e letti i Salmi per implorare da Dio la liberazione del bambino. Le preghiere si protrassero dal 14 Av (25 luglio 1858) fino a metà settembre. Così scrive rav Fasani in ebraico, nelle Toledòt Ya’aqov Yosef, il suo diario personale manoscritto ora conservato presso l’Archivio Storico di Gerusalemme: 

     

    Con la partecipazione di tutta la comunità, in un sacro consesso, qui a Roma, abbiamo pregato per la tragedia occorsa nella città di Bologna riguardo a un bambino che fu profanato con acque colpevoli all’età di [circa] 2 anni quando era in pericolo di vita ed è stato sottratto con la forza la sera dell’11 di Tammuz 5618 [23 giugno 1858] dalle braccia di suo padre e dal petto materno, senza misericordia. E poiché numerosi e onorati ministri della loro fede sono intervenuti con forza a nostro favore, ci siamo rivolti al Signore sia quando quelli andarono a parlare con il papa, i cardinali e i vescovi, sia quando chiesero al bambino (che si chiama Gad Yosef figlio di Miriam, e il nome di suo padre è Salomone Mortara haLevì) […] affinché il Signore, che conosce le cose nascoste, ascolti le nostre grida, e ponga in bocca al bambino tenero e innocente le risposte giuste come desiderio dei suoi genitori e come desiderio di tutto Israele, e affinché lo lascino libero di tornare come prima alla religione di verità e all’osservanza dei precetti per l’unificazione del Vero Dio, Amèn.

     

    L’attività del rabbinato e degli amministratori della Comunità romana per coinvolgere le Comunità ebraiche d’Italia, d’Europa e del mondo non sfuggì al controllo ferreo del Vaticano, che a inizio 1859 convocò i rappresentanti della Comunità ebraica alla presenza del Papa. Le udienze papali concesse ai delegati della Comunità erano una consuetudine annuale. In questo caso, però, l’udienza si risolse in un duro attacco da parte di Pio IX agli amministratori della Comunità per aver soffiato sul fuoco della vicenda. In particolare, il bersaglio fu il giovane segretario Sabatino Scazzocchio cui venne contestato di essersi comportato da “sciocco, sciocco, per non dire birbante” e di non essere all’altezza del suo predecessore, Salvatore Scala, che invece godeva della stima papale. 

    Lo scandalo ormai era montato in tutto il mondo e il Papa perse il consenso anche fra i suoi stessi alleati. Si dice che Pio IX sul letto di morte ricevette la visita di Edgardo Mortara, ormai giovane adulto e ordinato sacerdote cattolico, al quale disse: “Per salvare la tua anima io ho perduto il regno”. Il XX settembre del 1870, con la breccia di Porta Pia, si abbatterono pure le mura del ghetto e gli ebrei romani divennero liberi cittadini e non più sudditi del Papa. Un altro “caso Mortara” non sarebbe stato più possibile.

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