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    START UP: DA ISRAELE UN’APP PER SMARTPHONE PER TENERE SOTT’OCCHIO IL CUORE

    Guardando da lontano si potrebbe pensare che David Maman si stia facendo un selfie, seduto nel suo ufficio di Tel Aviv. Invece, fissando lo schermo del suo smartphone questo vulcanico imprenditore israeliano sta verificando, come fa una ventina di volte al giorno, l’affidabilità dell’ultimo prodotto della sua start-up, Binah.AI. Dove AI sta per quell’intelligenza artificiale che fa funzionare l’app che permette – attraverso l’immagine ripresa dalla telecamera frontale del telefonino – di valutare il battito cardiaco, il livello della pressione sanguigna e altri parametri in grado di definire il livello di stress, o anche il sopraggiungere di qualche problema di salute. Il tutto, ci spiega, “senza valutare elementi ‘riconoscibili’, come gli occhi o le labbra, ma solo esaminando una piccola porzione del viso, quella posta al di sotto della palpebra e nella parte superiore delle guance. Ci bastano un paio di minuti, e alla fine la nostra app è in grado di fornire i dati richiesti”. Per ora la valutazione è limitata ai parametri base dell’attività cardiaca ma, aggiunge Maman, “sappiamo da decenni che l’esame dell’HRV, la variabilità del battito cardiaco, permette di ottenere indicazioni preziose su problemi al cuore, rischio di morte improvvisa, livelli di insulina o perdita di funzioni cognitive”.

    Volendo, spiegano alla Binah.AI, è possibile arrivare a capire se il soggetto esaminato sta mentendo, oppure se ha un infarto in corso. “Il nostro algoritmo identifica il viso, seziona la parte che ci interessa, compensa gli spostamenti e l’illuminazione e poi da’ la risposta. E il margine d’errore è inferiore allo 0,1% contro il 28% di errore degli esami e delle valutazioni compiute dagli umani”. Difficile pensare a un sistema più semplice per tenere sotto controllo alcuni parametri fondamentali e non a caso la soluzione creata in questa anonima palazzina alla periferia di Tel Aviv ha già conquistato clienti importanti come Sompo, la seconda compagnia assicurativa giapponese, che da due anni ha aperto un hub tecnologico in Israele per tenere sott’occhio le start up più interessanti. La soluzione di Binah, spiega la compagnia, “fornisce risposte pratiche a sfide cruciali, riducendo la distanza fra i dati e le valutazioni”. Perché la prossima sfida, aggiunge Sompo, è quella di “sviluppare servizi di healthcare che permettano ai clienti di comprendere il proprio stato di salute e avere suggerimenti”.

    Oltre ai giapponesi, in coda ci sono altri grandi nomi come Huawei e Samsung, ma anche il servizio sanitario del Regno Unito o il costruttore di componentistica auto Denso. Che, aggiunge Maman, “sta lavorando sulla guida autonoma e potrebbe usare i nostri sistemi per capire lo stato di salute di un passeggero. Magari dello stesso guidatore, valutando se sia il caso di portarlo a destinazione pure in ospedale”. Ma il sistema di esame medico via smartphone non è che una delle molte soluzioni su cui lavorano le 20 persone impegnate in Binah.AI che è, per inciso, la 13ma start up messa in piedi da Maman. Un imprenditore visionario che lavora da quando era giovanissimo, da metà degli anni Novanta, che ha già venduto (molto bene) alcune delle sue ‘creature’ e che ha provato a fermarsi per godersi un po’ di più la vita: “Ma è stato un periodo terribile – spiega – io sono fatto per lavorare, anche perché dormo solo 3 ore a notte”. Per diventare incredibilmente ricco, in fondo, gli basterebbe sfruttare un’altre delle soluzioni di intelligenza artificiale nata da  Binah: una serie di pacchetti capaci di prevedere – con uno scarto inferiore al millesimo grazie all’esame di quantità incredibili di dati – l’andamento dei mercati dei cambi o di borsa nei minuti successivi. 

    Ma diventare ricco non sembra essere l’obiettivo principale di questo ‘genio degli algoritmi’: “le mie giornate lavorative durano 20 ore e non ne ho mai abbastanza”. “Vogliamo fornire ai nostri clienti soluzioni pronte per l’uso, laddove il 90% dei progetti di AI non entra mai in produzione”: anche perché il cammino dell’intelligenza artificiale, nonostante i progressi fatti, è ancora molto lontano dall’arrivare alla consapevolezza della nostra mente. “Basti pensare che per simulare su un Pc un solo secondo di attività del cervello umano servono 46 mila processori al lavoro contemporaneamente per 26 minuti. Il ‘computer pensante’ HAL di ‘2001 Odissea nello spazio’ è ancora lontano – conclude – ma prima o poi ci arriveremo”.        (Mge/AdnKronos) 

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