Ci sono persone
in grado di raccontare la vita e le sue difficoltà con malinconia e ironia, tra
questi sicuramente c’è Alberto Caviglia: regista, sceneggiatore e autore
satirico, che due anni fa aveva già conquistato il pubblico con il dissacrante
e irreverente Olocaustico (Giuntina) torna oggi, a deliziare i lettori con un
nuovo libro esilarante e brillante “Alla fine lui muore” (Giuntina).
L’espediente narrativo è geniale sin dalla copertina, realizzata dal
vignettista Mauro Biani, che comincia “spoilerando” l’epilogo al lettore.
La storia narra le vicende di un
giovane-vecchio: Duccio Contini, che la mattina del suo trentesimo compleanno
si sveglia scoprendosi improvvisamente invecchiato. Inizialmente Duccio è
sorpreso, ma poi si rassegna, quasi con gioia, alla notizia. Così, da lì
comincerà un percorso metapsicologico che lo porterà addirittura a scrivere il
proprio epitaffio per l’imminente fine della sua vita. Lo scrittore romano
riesce nuovamente a sorprendere il lettore portandolo, in maniera quasi velata,
a ridere e a riflettere pagina dopo pagina.
Una
melanconia piena di satira che porta alla luce le vicende di un’intera
generazione abituata troppo spesso a sentirsi “fuori posto”. “Questo secondo
romanzo, in cui uso la prima persona, differentemente da Olocaustico in cui
usavo la terza, è un romanzo molto più personale e intimo nel quale ho cercato
di attingere qualcosa anche da un’inquietudine e un turbamento della mia vita, per
portarlo nel testo- spiega Alberto Caviglia a Shalom- La mia è una
generazione in cui in alcuni contesti è difficile farsi strada. Per questo
bisogna essere molto perseveranti e forse un po’ fortunati per riuscire a
farlo”.
Un romanzo
che fa sorridere, ma che in realtà è lo specchio di un malessere che colpisce
molti appartenenti alla generazione dei 30-40, un malore che da vita ad un
flusso di coscienza che rende impossibile per il lettore abbandonare il libro,
ma soprattutto non affezionarsi a Duccio, che diventa quasi il simbolo di un sentire
comune. “L’idea originaria del libro appartiene ad una visione personale, che
però mi sono accorto non appartenere solo a me, ma a un’intera generazione.
Sicuramente qualche elemento autobiografico c’è finito, ma l’intento era di
partire da un personaggio “simbolico” di questa mia generazione, per parlare di
tutti, e per parlare anche di qualcosa che è difficile raccontare se non in
chiave metaforica e satirica come ho fatto- condivide il regista romano- infatti
anche in questo caso ho usato un’iperbole, un ribaltamento e cioè l’espediente del
giovane che nel giorno dei suoi trent’anni svegliandosi si trasforma, appunto,
in un vecchio”
Tanti
sentimenti in cui ritrovarsi che affiorano pagina dopo pagina, ma che vengono
descritti e scardinati con satira e poesia senza mai appesantire. Uno scrittore
che padroneggia la satira magistralmente sin dal suo esordio come regista nel 2015
con il film “Pecore in erba”. “Penso che la satira sia un linguaggio, un
registro molto efficace per parlare di cose delicate a volte intoccabili e faticose
da scardinare e descrivere con un linguaggio canonico. Uno strumento che
permette di entrare a gamba tesa in alcuni contesti e argomenti, e questo è il motivo
per cui a mio avviso bisogna usarla con grande attenzione. Bisogna esser
consapevoli di cosa si vuole dire” dice l’autore.
Registro
linguistico chiaro e scorrevole fanno da sfondo ad un protagonista spassoso in
cui è impossibile non rispecchiarsi. “Alla fine lui muore” è un libro che nasce
da un’idea esilarante e originale sorprendendo il lettore ad ogni capitolo per
giungere poi ad un finale inaspettato. “Non ho altri libri in programma
attualmente, per quanto riguarda l’editoria non faccio programmi, non era
previsto il primo, non è stato previsto questo, non escludo che non riaccadrà
però” ci assicura Alberto Caviglia.