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    Il pogrom del 4 novembre 1945: in memoria dei nostri morti. Una riflessione di Victor Fadlun

    Giornata di ricordi oggi, il 4
    novembre. Anche il meteo ne pare consapevole, e solidale fa la sua parte, Roma
    è coperta di nuvole, umida di pioggia fin dentro alla terra e alle pietre.
    Pensieri rivolti alla mia famiglia, alla mia comunità. Il 4 novembre 1945 è la
    data in cui partì il conto alla rovescia per l’estinzione della comunità
    ebraica libica, antica di 2.000 anni.  A
    Tripoli un folla di assassini fanatici assalta l’antico ghetto: devastano
    sinagoghe, negozi e case degli ebrei. Nessuno interviene a difesa di persone
    indifese: bambini, donne, uomini, tutti intenti semplicemente a condurre la
    loro vita in un paese considerato fino ad allora ostile agli ebrei, ma comunque
    “casa”. Alla fine i morti si contano in 132. Venivano trucidati a
    colpi di machete, prima i bambini e poi le madri.

    Mio nonno Huato, convinto di non aver
    nulla di che temere, il 4 novembre 1945 era uscito di casa per andare in
    ufficio come tutti i giorni, incurante del pianto della moglie e dei figli che
    lo pregavano di restare a casa. Era un uomo buono, pio, un grande benefattore
    per ebrei e arabi, ancora oggi ricordato con affetto. Fuori di casa fu
    riconosciuto dalla folla, colpito da 100 contro uno, e ridotto in fin di vita,
    lo presero a martellate in testa rompendogli il cranio. Un arabo lo raccolse di
    nascosto, lo caricò su una carriola e lo rovesciò davanti a un ospedale; gli
    doveva tanta gratitudine, e non se la sentiva di lasciarlo morire per strada.
    Mia nonna e la famiglia lo diedero per morto, erano asserragliati in casa e lui
    non tornava. Appresero che era vivo solo alla fine del pogrom.

    4 giorni e 4 notti di violenze
    brutali, di sangue: uomini uccisi per decapitazione, e poi i giovani assassini
    che giocavano a palla con le teste mozzate; feti strappati dai ventri delle
    madri incinte, e gettati dalle finestre. Mi fermo qui, troppo orrore. I
    militari inglesi di stanza nel paese lasciarono fare. Volevano dimostrare che
    la Libia era abitata da un popolo primitivo, non in grado di autogovernarsi,
    così da ostacolare le nascenti istanze di indipendenza libiche. 

    Questi ricordi sono in memoria dei
    nostri morti, come un fiore posato sulle loro tombe, che non esistono più
    perché pure il nostro cimitero a Tripoli ce lo hanno distrutto.

     

    Nella foto giovani studenti ebrei a Tripoli; il terzo da sinistra, fila centrale, è Elie Mimmo Fadlun

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