“Gentilissima Signora Della Rocca, le invio questo scritto poiché a voce, commovendomi, non troverei le parole adatte per ringraziarla per la sua gentilissima cordialità nel ricevermi a scuola. Lei non potrà mai immaginare la gioia e la commozione di trovarmi davanti a bambine e bambini, che non avrebbero mai finito di domandare”.
Non è l’inizio di una semplice lettera, ma è il prologo ad un vero e proprio testamento. Alberto Mieli – per tutti “Zio Pucchio” – sopravvissuto alla Shoah e volto amato dall’intera comunità ebraica di Roma, la indirizzò alla Morà Rossana Piattelli, moglie di Rav Vittorio Della Rocca, dopo che questa lo aveva invitato nella scuola ebraica elementare “Vittorio Polacco” per testimoniare la propria tragica storia.
A ritrovare la lettera è stato il figlio dei coniugi Della Rocca, Rav Roberto, che ha condiviso il documento con Alberto Mieli, nipote di Zio Pucchio.
”Era in mezzo all’agenda in cui mia madre teneva i ricordi più cari ed importanti, mi ha molto colpito. Alberto Mieli aveva un legame molto particolare con la mia famiglia, era stato nel campo di sterminio di Auschwitz con mio nonno paterno. Aveva assistito ai suoi ultimi momenti di vita, quando, non potendo più camminare, un soldato gli sparò durante la marcia della morte. Una volta tornato, Alberto ha raccontato tutto a mio padre”.
Alberto Mieli, nato il 22 dicembre 1925, è stato uno dei pochi ebrei romani a tornare dai campi di sterminio. Instancabile testimone della Shoah, ha portato con forza e sacrificio il racconto della sua vita ai grandi, ma anche ai piccoli, che aveva sempre il timore di spaventare, perché “togliere il sorriso dal volto dei bambini sarebbe stato un peccato”.
La gentilezza nel cuore di chi ha vissuto l’inferno. Zio Pucchio lo ricordano tutti con grande affetto. Si ricorda la sua sensibilità nel non voler intimorire chi ascoltava, ma anche le sue pause nei racconti, che spiegavano tutto ciò che le parole non potevano spiegare.
“Signora, la prego di perdonarmi se in alcuni momenti mi sono commosso, specialmente quando ha ricordato che ero stato deportato insieme al babbo di suo marito, ho rivissuto i momenti tragici della sua morte”.
La Shoah, il ritorno dei deportati e la loro disperazione hanno imposto un divieto assoluto nei confronti delle future generazioni: mai dimenticare, mai perdonare. Non uno slogan, ma un monito per la vita da non perdere in nessuna circostanza, perché nulla potrà mai ricucire una ferita tanto profonda. Le ultime parole impresse nella lettera sono un testamento.
“Signora, la prego tanto gentilmente di salutarmi i suoi alunni e dire loro che quando saranno adulti, qualsiasi cosa racconteranno loro sull’Olocausto, anche se qualsiasi uomo potente potrà chiedere perdono al popolo d’Israele, nessuno, e sottoscrivo nessuno, al mondo potrà mai ripagare le lacrime versate dalle nostri madri sapendo o vedendo di persona i loro figli in mano ai carnefici”.
Senza memoria siamo vuoti e vulnerabili. Alberto Mieli, nipote di Zio Pucchio, sottolinea questo concetto: “Sulla Torah è scritto di ricordare e non dimenticare ciò che ci ha fatto Amalèk. Sembra una similitudine, ma i maestri spiegano che bisogna ricordare nel cuore e non dimenticare nella bocca. Quindi, non dobbiamo dimenticare di raccontare alle nuove generazioni quanto è successo. È così, io non perdonerò mai nessuno, nonostante tutto ciò che possano fare”.
La rivincita più grande sta nella rinascita del popolo ebraico. Sinagoghe, scuole e generazioni future. “È indicativo che io – dice Rav Roberto Della Rocca – insieme al figlio ed al nipote di Zio Pucchio ci incontriamo al tempio con talled e tefillin per pregare. Questo dà il segno della continuità.”