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    Parashà di Chayè Sarà: Quando muore la mamma e il padre rimane solo

    La parashà inizia con il racconto della morte di Sarà, dell’acquisto della Cava di Makhpellà da parte di Avraham e del suo lutto per la perdita della moglie.

    Avraham e Sarà avevano avuto un solo figlio, Yitzchak. Eppure in tutto questo racconto non vi è una parola su di lui. È solo scritto che Avraham venne a fare un’orazione funebre per Sarà e a piangere per la sua morte (Bereshìt, 23:2). 

    R. Yechiel Ya’akov Weinberg (Polonia, 1884-1966, Montreux) in Lifrakìm (pp. 436 e 485) commenta che Yitzchak non disse una parola. Il dolore era per lui troppo grande per poterlo esprimere con delle parole. Una cosa simile avvenne quando morirono i due figli di Aharon, Nadav e Avihu. In quell’occasione nella Torà è scritto: “Ed Aharon tacque” (Vayikrà, 10:3). Possiamo immaginare il dolore di Yitzchak se pensiamo al fatto che Sarà morì quando ebbe notizia che il suo figlio unico era andato a farsi sacrificare (RashìBereshìt, 23:2). La mamma, per la quale il figlio era tutto quello che aveva, non ebbe il merito di sapere che Yitzchak aveva passato la prova. Questo causò un tale dolore al figlio che non potè trovare consolazione. 

    Rav Weinberg offre un’altra risposta al suo quesito. Rachel, la moglie di Ya’akov morì durante il parto dando vita al figlio Binyamin poco prima di arrivare a Betlechem. Nella parashà di Vayechì è raccontato che, poco prima di morire, Ya’akov chiamò il figlio Yosef, che era viceré d’Egitto, e gli disse: “Ed io quando venni da Charan, Rachel mi morì nella terra di Canaan durante il viaggio, a una breve distanza da Efrat, e la seppellii là nelle strada per Efrat, ossia Betlechem” (Bereshìt, 48:7).     

    Su questo passo della Torà i Maestri sottolineano le parole “Mi morì” e dicono: “La moglie non muore altro che per il marito” (Sanhedrin, 22b). È solo il marito che sente la mancanza della moglie. Solo per lui la morte della moglie causa dolore e pena, a lui e nessun altro. Rav Weinberg è tuttavia perplesso perché non appare che questa affermazione dei Maestri sia realistica. È vero che la morte della moglie fa piangere il cuore del marito, ma questo non significa che i figli non soffrano per la perdita della mamma che non torna più. 

    Rav Weinberg risponde a questa domanda citando l’episodio della scomparsa del profeta Elia, quando il discepolo Elisha’ gridò: “Padre mio, padre mio, carro e cavaliere d’Israele” (2 Melakhìm, 2:11). I Maestri soffermandosi sulla parola “padre mio” ripetuta due volte, affermano che la seconda volta, significa “madre mia”.  Perché mai il profeta Elisha’ chiamò il Maestro Elia anche “madre mia”? 

    Quando la madre scompare è il padre che deve sopperire e occupare anche il ruolo amorevole della madre. Per Elisha’ la scomparsa del profeta Elia era la perdita del maestro, della guida e anche della persona che fungeva per lui come madre. E così avvenne anche per Avraham. Egli venne a dare l’orazione funebre per Sara e per piangere per lei. Avraham sapeva cos’era l’amore della madre per il figlio e piangeva per la perdita della madre al suo unico figlio. E Yitzchak che vide la sofferenza del padre per lui, rimase senza parole. E così disse Ya’akov a Yosef: “Rachel morì a me e non a te. Perché dal momento in cui morì, fui io che dovetti fungere da madre, dandoti l’amore materno”. 

    Quando il rabbino Nathan Cassuto zz’l Hy’d non tornò da Auschwitz, i suoi tre figli tornarono a vivere con la madre Anna, sopravvissuta di Auschwitz. Quando la madre zz’l Hy’d fu uccisa dagli arabi il 13 aprile 1948 insieme con altri settantasette ebrei, nel convoglio di medici e infermiere, che la portava alla Hadassa sul  Monte Tzofìm, si racconta che il nonno, il professor Cassuto, disse che fino ad ora aveva fatto da padre per i nipoti. Ora avrebbe dovuto fare anche da madre!

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