Ho conosciuto Renzo Gattegna durante la mia esperienza di portavoce del ministro dell’integrazione e della cooperazione internazionale Andrea Riccardi. Un’esperienza straordinaria che mi ha arricchito molto, specie sul tema, centrale, del dialogo tra le religioni. Ma i rapporti con lui si sono infittiti e rinsaldati nei primi anni di mia permanenza al Quirinale come consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente Mattarella, durante i quali ho potuto conoscerne e apprezzarne lo spessore umano e professionale.
Gattegna era un esponente e un rappresentante di spicco di una rilevante minoranza religiosa e culturale, presente in Italia – e a Roma in particolare – da tempi antichissimi. Di questa preziosa radice e dell’apporto da essa dato alla costruzione dell’Italia era, legittimamente, consapevole e fiero. Ma la sua azione, alla guida dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, non si esauriva soltanto nella giusta, tenace (e sempre garbata) difesa degli interessi, delle prerogative, delle istanze delle comunità ebraiche a cui dava autorevolmente voce. Renzo, se mi posso permettere, non viveva il suo incarico da “sindacalista”, ma aveva un disegno più ambizioso, pensava più in grande. Ossia a come l’ebraismo italiano avrebbe potuto continuare a contribuire alla crescita culturale e civile della Repubblica, accanto e insieme ad altri filoni, culture e presenze. Il suo garbo e la sua naturale signorilità lo portavano a farsi sempre carico delle ragioni e dei punti di vista degli altri. Considerava l’Italia la casa comune e lavorava per una comunità ebraica attivamente integrata e impegnata per costruire una società migliore. Per tutti.
Gattegna era un uomo giusto, un uomo di pace e sapeva che la pace autentica si ottiene con parole e gesti di pacificazione.
Che la sua cara memoria ci sia di esempio e di benedizione.