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    Coltivare la memoria ai tempi del digitale. Intervista a Pietro Jarre

    Il 25 ottobre l’archivio ebraico Terracini di Torino ha ospitato la seconda Conferenza per il ciclo La conservazione della memoria al tempo del digitale. Pietro Jarre, con Alberto Trivero, ha raccontato perché e come propone alla comunità di adottare eMemory per “coltivare la memoria di oggi, considerate le lezioni della memoria di ieri”. Conosco Pietro dai tempi della scuola ebraica di Torino, che ha frequentato negli anni ’60, gli ho chiesto di rispondere ad alcune domande per Shalom.

    Pietro, cos’è eMemory e cos’ha di speciale per noi

    “eMemory è una piattaforma web per selezionare e valorizzare memorie, conservandone alcune a portata di mano, e le altre in cold storage, a evitare spreco energetico. Ogni contenuto è segnato rosso giallo o verde per indicare il tuo lascito: oblio, condivisione controllata, condivisione erga omnes di valori affettivi e/o economici. Ti puoi registrare e provare su www.ememory.it. Fondata a Torino nel 2015, adottata da una banca per l’area riservata Clienti e dal Comune di Torino per valorizzare le esperienze di lavoro dei dipendenti. Usa principi in antitesi a quelli dell’industria dominante: non ti profila, non vende i tuoi dati, è davvero sicura e a prova di obsolescenza. È di proprietà di molti soci, ma io vorrei che diventasse di tutta la comunità ebraica per dare e ricevere credibilità, e generando ricavi agire nell’oggi facendo leva sulla nostra capacità di gestire identità e memoria per far invece da riferimento e dare direzione a tutti nel gestire la memoria di oggi, che usa il digitale, con grandi opportunità e anche rischi.” 

    Nella comunità?

    “Nella comunità e anche dalla comunità verso e nelle città d’Italia, e anche oltre, certamente. In Italia abbiamo una tradizione su “storia e famiglia”, in comunità su “memoria e identità”. Perché non metterle a frutto per un progetto di alto valore civico?

    Ma con il digitale oggi non possiamo conservare tutto?

    “Si, in teoria, e possiamo anche perdere tutto, il che è molto troppo frequente. Ma mi chiedo: perché conservare tutto? Per pigrizia, perché pensiamo di essere così importanti? Una discarica non è un archivio, che nasce dalla definizione dello scarto. Possiamo conservare, forse, per un poco, tutto. Lo perderemo, e se si tratta di cumuli di dati, poco importa. La saggezza nasce dalla selezione delle informazioni, che nascono dalla selezione dei dati. Con troppi dati soffochi la possibilità di acquisire e diffondere saggezza. 

    Vivere il digitale con frugalità?

    “Si, vivere leggeri per usare bene la tecnologia; non tenere sullo smartphone centinaia di foto, soltanto quelle “identitarie”, scartare, buttare, in modo da avere il tempo per valorizzare. La fotografia che ho scelto per questa intervista ci dice molto, e non solo che eravamo molto magri e che ai tempi del bianco nero si scattavano poche foto perché costavano molto, e dietro alla stampa si scriveva la data e le persone fotografate, e spesso un commento – dietro a questa foto è scritto il ricordo di mia sorella: le automobili venivano caricate con una rete da pescatori sulla barca/traghetto … e si intravede la coda della Appia prima serie di mio padre, in cui andarono in sette all’isola d’Elba! Il dato – immagine – diventava racconto – informazione – e raccolto in un album passava identità e esperienza alle generazioni successive, o finiva in un archivio pubblico, a cementare conoscenza, saggezza collettiva. Mica male, il viaggio di una fotografia ben pensata.” 

    Ma non è facile resistere alla tentazione

    “No, per nulla. Oggi scrolliamo rapidamente, l’occhio guarda e non vede, il digitale colpisce il cervello rettiliano e riduce lo sviluppo della corteccia cerebrale, se riceviamo un messaggio invece di leggerlo pensiamo subito a chi mandarlo. Che fare? Usare con cura, investirci del buon tempo, e tenere Tik Tok lontano dalla portata dei bimbi. Lottare, resistere. Non è difficile, facciamolo.”

     

    Tu hai anche fondato Sloweb, associazione no profit “per l’uso responsabile del web”. Perché Slow?

    “Perché è tempo di riconquistare il tempo, usando una tecnologia veloce al servizio di una riflessione lenta ma profonda, che ci porti lontano verso un web giusto, buono, pulito e sano. Quando ideammo il logo di “Sloweb” ripensai a Virginia Montel Levi, la mia insuperabile maestra alla Colonna e Finzi: il logo è la scritta semplice “Sloweb” in corsivo come fosse scritto con penna e inchiostro da un alunno di prima elementare, che scrive lentamente e con attenzione pensa, e mentre pensa cresce,tiene la lingua fuori per lo sforzo, si concentra, e cresce. Grazie maestra!”

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