Il 14 ottobre 2021 la CER ha voluto dedicare una giornata al ricordo delle deportazioni delle donne ebree romane invitando una serie di esperti di Shoah e della storia della comunità ebraica di Roma. L’attività è stata patrocinata dal Museo della Shoah di Roma.
Gabriele Rigano (Università per Stranieri di Perugia, Settimia Spizzichino e il 16 ottobre) sottolinea come nella prima fase dell’occupazione tedesca di Roma non sia stato fortemente percepito il pericolo delle deportazioni da parte della comunità ebraica romana, anche perché era diffusa l’opinione che a breve sarebbero arrivati gli alleati a liberare la città dal giogo dei nazisti. Diversamente, la situazione degenerò rapidamente anche grazie all’arrivo nella capitale, per espressa volontà di Otto Adolf Eichmann, di Theodor Dannecker esperto di deportazioni, con lo scopo di organizzare il rastrellamento degli ebrei che fu agevolato dalla schedatura degli ebrei occorsa sin dal 1938, alla quale si aggiunse aggiunta il sequestro dei libri dei delle matricole dei contribuenti della Comunità Israelitica.
La posizione del tedeschi era stata sottostimata anche in relazione al fatto che questi avevano ottenuto dai membri della comunità e anche da non ebrei che corsero in loro aiuto, 50 kg d’oro raccolti per evitare che venissero deportati 200 capifamiglia. Tuttavia, la mattina del 16 ottobre 1943, un sabato e terzo giorno della festività di Sukkot, ebbe inizio il rastrellamento e non solo nell’area dell’ex Ghetto ma in tutta la città, divisa per zone dalla Questura di Roma che collaboro all’infamia dei nazisti.
Furono arrestate circa 1250 delle quali 1022 furono deportate mentre altre furono rilasciate.
Il dottor Massimo Finzi (Assessore alla Memoria della Comunità Ebraica di Roma), che ha moderato gli interventi, ha sottolineato che molti si salvarono grazie all’intercessione del Vaticano a favore di ebrei convertiti al cattolicesimo.
Ancora il professor Rigano ha rilevato come quella del 16 ottobre fu una deportazione di vecchi, di bambini e soprattutto di donne perché era diffusa l’opinione che i tedeschi avrebbero catturato solo giovani maschi adulti per portarli nei campi di lavoro. Pertanto, molti di questi fuggirono mentre gli altri rimasero a casa sicuri che non sarebbero stati portati via dai nazisti.
Il dato statistico è stato confermato da Claudio procaccia (Dipartimento Beni e Attività Culturali della CER, La deportazione delle donne ebree da Roma) il quale ha dimostrato come nella fase precedente le leggi del 1938 molte donne della comunità ebree di Roma si erano rapidamente emancipate e rispetto all’epoca del Ghetto inserendosi nel tessuto sociale, economico e culturale della città, in alcuni casi raggiungendo posizioni significative in seno alla società coeva.
L’emanazione delle leggi antiebraiche interruppe questo processo di emancipazione femminile all’interno del fenomeno dell’emancipazione degli ebrei di Roma in atto dalla dal 20 settembre del 1870.
Tuttavia, il momento più tragico fu proprio il 16 ottobre del 1943, quando oltre un migliaio di ebrei deportati era costituito dal circa il 60% da persone di genere femminile.
Discorso diverso per quanto riguarda il periodo successivo alla prima deportazione, periodo in cui la maggioranza degli ebrei deportati era formata da giovani maschi adulti mentre le donne e i bambini risultano maggiormente tutelati all’interno degli istituti religiosi che nelle case dei privati, i quali spesso si adoperarono per salvare gli ebrei a rischio della propria vita e spesso senza chiedere nulla in cambio. Un fenomeno che stride con il fatto che i rastrellamenti successivi al “Sabato nero” avvennero soprattutto ad opera di italiani e su delazione di italiani.
Le centinaia di migliaia di donne inviate nei campi di sterminio rappresentato un universo, ha in qualche misura, diverso da quello maschile come è stato sottolineato Frediano Sessi, (Università Statale di Brescia, La condizione delle donne nei campi di sterminio). Infatti, le donne spesso venivano selezionate al momento dell’arrivo nei campi di sterminio e inviate immediatamente nelle camere a gas perché erano in stato di gravidanza, oppure perché avevo con loro bambini perché portava erano donne incinte oppure agivano come sostegno a genitori anziani, anch’essi uccisi rapidamente. Diversamente i giovani maschi venivano immediatamente portati ai lavori forzati. Sessi, ha sottolineato come la stessa condizione di nudità fosse vissuta con maggior disagio dalle donne rispetto agli uomini, anche perché quest’ultime potevano essere utilizzate dai loro aguzzini come schiave del sesso oppure come cavie nelle sperimentazioni mediche, soprattutto quelle indirizzate alla sterilizzazione di massa delle donne ebree.
Nella trattazione di Sessi, alcuni elementi sorprendono forse più di altri. Innanzitutto la partecipazione delle donne alla resistenza nei campi di sterminio, fenomeno ancora poco noto ma significativo. Infine, è stato rilevato che il tasso di mortalità fra le donne fu inferiore rispetto a quello maschile non perché le violenze fossero minori ma perché attraverso sistema di mutuo soccorso avevano potuto condividere le proprie esperienze e le risorse con risultati straordinari date le condizioni terrificanti in cui vivevano.
Chi era Settimia Spizzichino? In base alle ricerche di Claudio Procaccia risulta nata a Roma il 16 aprile 1921 ed era figlia di Mosè e Grazie Di Segni. Il padre aveva aperto una serie di negozi a Tivoli, dove comprava e vendeva rottami e stracci. Una famiglia, la sua, tipica degli strati popolari della Rome ebraica dell’epoca.
Gli Spizzichino, così come altre famiglie del ghetto, avevano migliorato faticosamente la propria condizione materiale nel periodo dell’emancipazione quando le leggi antiebraiche fecero precipitare rapidamente la situazione.
Agli inizi dell’Ottocento la famiglia Spizzichino viveva nel recinto in vicolo di Capocciuto, una stradina situata grosso modo dove oggi vi è il Tempio Maggiore e il suo capostipite; Jacob Spizzichino, faceva il facchino, ma i suoi discendenti, già nel corso del XIX secolo avevano migliorato la situazione diventando proprietari di un banco di chincaglierie e successivamente, con l’emancipazione, come sottolineato, spostarono le loro attività in provincia aprendo nuove piccole attività commerciali.
Settimia aveva cinque fratelli, tutti deportati assieme a lei e la madre. Il padre si salvò in circostanze fortunate.
Nonostante le drammatiche esperienze rimase una donna risoluta, pronta a testimoniare l’orrore, come giustamente ha rilevato la presidente CER Ruth Dureghello ma anche sollecita al supporto dei familiari, come testimoniato dal nipote Mario Spizzichino.
Una persona, una donna, che non si è piegata al male come ha sottolineato Giorgia Calò (Fondazione Museo Ebraico di Roma) nel presentare il catalogo delle Opere di Georges de Canino Figlie di Auschwitz, pubblicato dall’Associazione “Ricordiamo insieme”. Una serie di ritratti di donne accumunate da un triste destino ma in grado di reagire e restituirci le loro preziose testimonianze.