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    Arte e cultura ebraica a Roma ai tempi di Immanuel Romano

    In occasione del convegno “Dante, Immanuel Romano e il mondo ebraico a Roma tra Medioevo e Rinascimento” al Museo Ebraico di Roma, pubblichiamo un articolo di Anna Nizza-Caplan, curatrice di manoscritti ebraici presso l’Israel Museum di Gerusalemme.

     

    Rosh Chodesh Heshvan 5044-  22 Ottobre 1283: Abraham ben Yom Tov Ha-Kohen, esiliato pochi anni prima da Ferrara, termina un’elegante copia decorata della Guida dei Perplessi del Maimonide per il banchiere romano Shabetai ben Mattayah ed il figlio Shelomo. Alla Guida dei Perplessi verranno aggiunte subito dopo due dozzine di altri testi costituenti un compendio di carattere filosofico-etico e scientifico – alcuni del Maimonide stesso, e molti altri facenti riferimento alla sua opera filosofica o ad argomenti da lui trattati –  di autori che hanno influenzato il suo pensiero, o che lo hanno sostenuto nella disputa ancora viva in quegli anni. Vi troviamo la testimonianza scritta più antica di un poema incluso nei “Quaderni” di Immanuel Romano, basato sui 13 articoli di Fede del Maimonide. Questo compendio filosofico di testi rispecchia il filone di studio che si diffuse a Roma nel periodo in esame, a testimonianza materiale del fervido contesto culturale ebraico, che assimila il curriculum accademico della società cristiana contemporanea basato sulla scolastica e lo studio della arti liberali.

     

    A capo del codice campeggia una grande lettera “shin” decorata, iniziale del committente Shabetai, ed ex-libris che segna l’importanza conferita al codice dal suo proprietario.

     

    Negli anni successivi, Avraham copia altri quattro codici, dove, oltre che copista e masoreta, è anche correttore di bozze, mostra il suo estro poetico e – non ultimo – è anche il decoratore. Due di questi manoscritti sono commissionati dallo stesso mecenate Shabbetai ben Mattatyah della Guida dei Perplessi: il Libro dei Precetti del Maimonide e una Bibbia completa con annotazioni massoretiche; un’altra Bibbia, non datata, viene copiata per un committente rimastoci ignoto, mentre un’Haggadah di Pesach del 1290 e` l’ultimo lavoro conosciuto del copista, e l’unico non decorato.  In tutti gli altri codici si distingue l’uniformità della firma artistica di Avraham:  le arcate decorative in capo a ogni inizio di testo, disegnate ad inchiostro seppia, e segnlazioni di ogni parasha` in una delle due Bibbie, ed ispirate alla decorazione architettonica locale nello “stile cosmatesco” o “stile a motivi geometrici policromi piatti”, prevalente a Roma e nell’Italia centrale tra il XII e il XV secolo.

     

    Non finisce qui: essi vengono decorati anche con cornici a pennello e raffinate filigrane ad inchiostro che ne scandiscono il testo, spesso arricchite con immagini di animali, draghi, figure grottesche, e motivi vegetali. Cornici più ricercate ma ricondotte allo stesso stile arricchiscono gli incipit ed explicit di un’altra Bibbia (oggi nella Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Ross. 554), copiata nel 1286 da Jekuti’el Yehi’el Anav per il Dayyan (giudice del tribunale rabbinico) Menahem ben Moshe, e punteggiata da Benjamin ben Yoav Anav – il vocalizzatore che lavora anche con Avraham, e a volte anche come copista autonomo. La produzione artistica di questo gruppo di codici ebraici pare fare riferimento alla bottega del miniatore di codici latini di alta committenza nell’ambito della curia romana, il “Magister Nicolaus”.

     

    Si parla dunque di una delle primissime scuole di miniatura ebraica italiana che, non a caso, fiorisce nell’ambito culturale di una Roma dinamica ed internazionale, per committenti colti e devoti alla tradizione e al contempo a passo con l’innovazione del pensiero ebraico nel suo contesto più ampio.

     

    Dettaglio dell’introduzione alla Guida dei Perplessi, copiata da Avraham ben Yom Tov Ha-Cohen per Shabetay ben Mattatyah, Roma, 1283 (originale presso: London, The British Library, Harley 7586 A, fol. 5r)

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