Giacomo Segre è stato un Ufficiale del Regio Esercito Italiano che ha legato il suo nome ad eventi di straordinaria importanza, ma che, per contro, per la storiografia ufficiale, non ha assunto il rilievo che sarebbe dovuto a lui derivare per le conseguenze che tale evento ebbe per la storia d’Italia. In particolare, egli comandò il 20 settembre del 1870 la batteria di artiglieria che praticò la breccia nelle Mura Aureliane, per consentire alle truppe regie di entrare in Roma ed acquisirla al Regno d’Italia quale nuova Capitale.
Giacomo Segre nacque a Saluzzo il 7 marzo 1839 da Salvador ed Anna Gentile Segre, antica famiglia di religione ebraica da lungo tempo residente nella città piemontese; dopo esersi laureato in Ingegneria presso l’Università degli Studi di Torino, scelse di intraprendere la carriera militare arruolandosi lo stesso anno nell’Armata Sarda, nel cui ambito, per le caratteristiche degli studi da lui intrapresi, venne nominato Sottotenente nel Corpo Reale di Artiglieria.
Prima della spedizione del 1870 per la liberazione di Roma, partecipò alle pricipali campagne risorgimentali, che portarono alla nascita del Regno d’Italia, distinguendosi, in particolare, nel 1866, durante la sfortunata Terza Guerra di Indipendenza.
Per quanto riguarda la partecipazione di Giacomo Segre alla campagna per la presa di Roma, secondo una “vulgata” priva di ogni riferimento storiografico, egli venne scelto per quel delicatissimo compito solo per la sua condizione di Ufficiale di religione ebraica e quindi indifferente alla Scomunica papale che si pesava sarebbe stata irrogata nei confronti di colui che per primo avesse aperto il fuoco contro la città. Qualcuno nel prosieguo del tempo aveva voluto offuscare il suo ruolo, creando la suggestione della minacciata scomunica, facendo scadere la sua designazione per quel compito, su un piano più basso, assolutamente fantasioso, che nella sostanza andava a sminuirne la figura.
Nella realtà Giacomo fu scelto perché dai suoi trascorsi professionali emergevano le capacità e le attitudini ad addestrare nel modo corretto i suoi uomini per svolgere un compito certamente difficile, sia sotto l’aspetto strettamente militare sia per i risvolti, che potremo definire diplomatici, che l’intera vicenda avrebbe assunto.
Tale fallace tesi viene ampiamente confutata in due attendibilissimi documenti: il Diario storico dell’intera operazione per la liberazione di Roma redatto dal Generale Raffaele Cadorna, Comandante delle truppe del Regio Esercito impiegate per quella esigenza, e la memoria lasciata dal Generale Luigi Pelloux, ufficiale e uomo politico che assunse successivamente ruoli di elevatissimo livello per la storia della neonata Italia, che in quel frangente era il Comandante diretto di Giacomo Segre. Entrambi i documenti ufficiali dimostrano chiaramente che nel rispetto del disegno di manovra decisa dal Generale Cadorna, tutte le Divisioni che assediavano la città avevano ricevuto l’ordine di iniziare il fuoco di artiglieria subito dopo le ore 5, contro diversi punti della cinta muraria, allo scopo di distrarre l’attenzione dei difensori dal settore di Porta Pia.
Per l’effettuazione della rottura delle mura, la 5a batteria del capitano Giacomo Segre, destinata a svolgere l’azione di fuoco principale, venne schierata nei giardini di Villa Albani, a poco più di 500 metri di distanza dal punto dove doveva essere realizzata la Breccia. Alle ore 5 e 20 circa e, quindi, dopo tutte le altre artiglierie del Corpo d’Esercito, iniziò un fuoco di demolizione, che venne condotto ai diretti ordini di Giacomo. Inizialmente il Capitano fece sparare i propri pezzi con fuoco cadenzato (i cannoni sparavano uno alla volta intervallati di alcuni secondi), ma resosi conto della scarsa efficacia di tale procedura, decideva di passare ad un fuoco per “salve”, con l’intervento contemporaneo dei suoi sei cannoni. Tale procedura aveva ben altra efficacia ed alle 9 e 30 circa la breccia era già praticata per un’ampiezza di circa 30 metri, ma il Segre continuò il proprio fuoco, che assunse una precisione che potremmo definire chirurgica, per sbriciolare le macerie accatastate ai piedi del varco, per renderne più agevole alle fanterie l’approccio.
Subito dopo, Giacomo ebbe a dichiarare che: “La favorevole posizione occupata e la relativa vicinanza dello scopo che si aveva di mira di battere rese efficacissimo il fuoco della batteria, alla quale fu di certo dovuta quasi esclusivamente l’apertura della Breccia di Porta Pia”.
Il Maggiore Pelloux, nella sua relazione ufficiale, ebbe a dichiarare: “La Batteria 5a ebbe con i suoi tiri gli effetti più utili che si potessero immaginare …. La Batteria meritò gli applausi di quanti poterono osservare la calma, la tranquillità e il sangue freddo coi quali il fuoco veniva eseguito”.
Anche il Generale Cosenz, comandante della Divisione contermine e che successivamente sarebbe diventato Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito di grandissimo valore, ebbe a dichiarare: “Per quanto questa batteria (quella del Capitano Segre) non dipendesse dai miei ordini pur tuttavia, avendo avuto luogo di osservarla da vicino, mi sento il dovere di lodarne la bravura e la perizia per gli ammirabili effetti prodotti”.
Tutti questi giudizi, espressi da personalità di assoluto rilievo, forniscono un’ulteriore dimostrazione dell’elevato livello di addestramento che il Capitano Segre aveva saputo infondere ai suoi uomini ed una volta di più confermavano quanto fosse ben motivata la decisione dei suoi superiori di attribuirgli questo delicato compito.
La reazione degli zuavi pontifici fu violenta ed un fitto fuoco di fucileria partente da un avamposto creato al di fuori delle mura, in corrispondenza di Villa Patrizi, si abbatté sulla batteria “Segre”, causando gravi perdite. Il giorno dopo l’azione, il Capitano Segre scrisse alla sua fidanzata, Annetta, che presto sarebbe divenuta la sua sposa: “Ieri fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione le truppe pontificie fecero resistenza e si dovette coi cannoni aprire la breccia che poi fu presa d’assalto dalla fanteria e dai bersaglieri. La mia batteria prese parte all’azione e si batté con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il mio tenente che morì stamane. Povero bel giovanottino di ventiquattro anni! Ferito ugualmente altro caporale che forse non camperà sino a questa sera e più leggermente altri quattro cannonieri”.
Lo storico francese Jacques Le Goff ha affermato che la Storia, quella dei grandi eventi, quella con la lettera “S”, è scritta da singoli uomini che compiono azioni o fanno scelte in un momento particolare della loro esistenza: le loro microstorie e le scelte adottate indirizzano il cammino del genere umano in un verso piuttosto che in un altro. Così è stato anche per Giacomo.
Egli si è trovato nel punto focale nel momento in cui si svolgevano accadimenti che andavano a modificare il corso della Storia del nostro Paese e lui ne ha favorito il suo dipanarsi, divenendone l’esecutore materiale.
Nel Contingente che avrebbe attaccato Roma erano presenti ben 19 batterie di cannoni simili a quella comandata da Segre, ma venne scelto lui e questo non avvenne certamente perché fosse un Ufficiale di religione ebraica; Giacomo fu scelto perché dai suoi trascorsi professionali emergevano, e questa è la sua microstoria, le capacità di artigliere e le sue attitudini ad addestrare nel modo corretto i suoi uomini a svolgere un compito certamente difficile: la sua storia personale, quella con la “s” minuscola, diventava la grande Storia della Breccia di Porta Pia.
Recentemente, grazie all’impegno ed alla determinazione degli artiglieri di oggi, in particolare degli artiglieri dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, si è voluto riaffermare la sola e la più inconfutabile verità, mediante l’apposizione, il 20 settembre dello scorso anno nei pressi di Porta Pia, di una lapide che ricorda la missione affidata a Giacomo Segre ed il sacrificio dei suoi cannonieri, con l’impegno a rinnovare ogni anno la loro memoria.