Ci sono opere e oggetti d’arte che hanno avuto una seconda vita. La prima è legata al contesto in cui sono state realizzate e al loro valore culturale, mentre la seconda può cominciare quando riescono a superare indenni una distruzione certa voluta per cancellare il messaggio che portano in sé o la memoria di chi le ha collezionate. Durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti hanno sequestrato, qualche volta distrutto, un grande quantitativo di opere, oggetti e libri appartenuti soprattutto a ebrei.
Non vi erano solo presunte ragioni ideologiche come quelle della ‘Entartete Kunst’, la mostra dell’arte considerata “degenerata” inaugurata a Monaco nel 1937, ma anche un’appropriazione dettata da ragioni economiche.
La mostra ‘Afterlives: Recovering the Lost Stories of Looted Art’ appena inaugurata al Jewish Museum di New York mette insieme lavori di Paul Cézanne, Pablo Picasso, Marc Chagall e Gustave Courbet e altri grandi maestri, affiancandoli a quattro artisti contemporanei e oggetti di Judaica. Queste opere hanno attraversato complesse vicende, spostandosi per l’Europa, sparendo spesso per decenni, per poi tornare in musei, collezioni, e nel migliore dei casi agli eredi dei legittimi proprietari. L’esposizione ne ricostruisce la storia e qualche volta permette di far incontrare di nuovo dipinti che hanno incrociato le loro vicissitudini negli anni della guerra.
È il caso di due tele di Henri Matisse ‘Margherite’ e ‘Ragazza in giallo e blu con chitarra’, entrambe del 1939, che appartennero al gallerista Paul Rosenberg di Parigi. Rosenberg riuscì a mettersi in salvo, passando per la Spagna e il Portogallo per arrivare negli Stati Uniti, ma molte opere di avanguardia della sua Galleria, diventata nel frattempo ‘Istituto antisemita per lo studio della questione ebraica’, furono razziate dai nazisti che le dispersero. Il gerarca nazista Hermann Goering lasciò le “Margherite” in Francia inviando il ritratto di ragazza in Germania nel 1944; i due quadri torneranno insieme solo nel 2007 quando l’Art Institute di Chicago acquistò la seconda opera che si affiancò all’altra già entrata in collezione nel 1983.
Non solo opere d’arte, ma anche oggetti provenienti da sinagoghe e famiglie private che dopo la guerra difficilmente potevano essere rintracciate. Così il Jewish Museum svolse un ruolo di deposito e restituzione di migliaia di argenti, 220 dei quali rimasero nelle sue raccolte. La particolarità di questa sezione della mostra è di presentarli come nel magazzino di raccolta nel dopoguerra: ognuno di essi conserva una piccola targhetta con le iniziali JCR – Jewish Cultural Reconstruction, l’organizzazione che si occupò della raccolta – e spesso presentano graffi, ammaccature e le tracce del loro arrivo in America.
Tra gli oggetti rituali alcuni provengono dalla Comunità ebraica stanziata a Danzica (nell’attuale Polonia) che dovette vendere l’edificio della sinagoga e parte del patrimonio nel tentativo di acquistare visti per l’uscita da quelle zone. Casse dal peso di due tonnellate contenenti rotoli della Torah, lampade di Hanukka e preziosi tessuti furono così inviate al Jewish Theological Seminary per salvarle dai saccheggi. Il legame con la Polonia porta a riflettere ancora sull’attualità: basti pensare alla recente approvazione del parlamento polacco di una legge che blocca la restituzione di beni sequestrati dai nazisti e confiscati poi dai comunisti nel dopoguerra. È quindi un’esposizione che dimostra come il tentativo di distruzione, anche culturale, del mondo ebraico sia fallito ma che richiama al dovere su quanto ancora ci sia da fare per la memoria e per l’arte.
Ph. Henri Matisse, ‘Girl in Yellow and Blue with Guitar,’ 1939. (The Art Institute of Chicago © Succession H. Matisse / Artists Rights Society (ARS), New York; image provided by The Art Institute of Chicago / Art Resource, New York/ Jewish Museum NYC)