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    L’assassinio del re di Giordania nel 1951 – Un anniversario importante

    Da pochi giorni è passato il settantesimo anniversario di un evento che pochi ricordano, ma che ha avuto un influsso profondo sulle vicende del Medio Oriente: l’assassinio del re di Giordania Abdullah I, bisnonno dell’attuale sovrano che porta il suo nome. Esso fu perpetrato  il 20 luglio 1951 da un palestinese, Mustafa Shukri Ashshu, legato al Muftì di Gerusaleme Amin al-Husseini a Gerusalemme per incontrare i dirigenti israeliani e trattare una pace separata. Qualche giorno prima, il 16 luglio, era stato ucciso il primo ministro del Libano, Riad al Sohl, coinvolto anch’egli nel progetto di una chiusura del conflitto con Israele. Abdullah aveva incontrato Reuven Shiloah, il primo direttore del Mossad, e Golda Meir in una serie di discussioni dal 1949 al 1950 e il giorno del suo assassinio doveva avere un altro incontro con Shiloa e col diplomatico israeliano Moshè Sasson. Nella biografia del nipote di Abdullah, Hussein (“Lion of Jordan: The Life of King Hussein in War and Peace”), si dice che il re abbia detto a Sasson: “Voglio fare la pace con Israele non perché sia diventato sionista o mi preoccupi per il benessere di Israele, ma perché è nell’interesse del mio popolo. Sono convinto che se noi non facciamo pace con voi, ci sarà un’altra guerra, e poi un’altra guerra, e un’altra guerra ancora, e noi perderemo tutte queste guerre. Quindi è supremo interesse della nazione araba fare la pace con voi.”

     

    Parole sagge e preveggenti. Ma frustrate dalla violenza dei fanatici antisemiti nel mondo arabo. L’assassionio di Abdullah non solo frustrò quella pace possibile, ma fece da esempio. Anche il primo ministro egiziano Sadat fu ucciso nel 1981 per aver fatto la pace con Israele. Raghib Nashashibi, membro della famiglia araba di Gerusalemme rivale di Amin al Husseinie sostenitore di una politica di compromesso con gli ebrei, fu sottoposto a diversi tentativi di omicidio e dovette fuggire in Egitto. Anche lo zio di Abdullah I, Feisal I, re dell’Iraq, aveva tentato un accordo di convivenza con Weizmann, siglato ai margini della conferenza di Versailles, alla fine della I Guerra Mondiale, ma poi fu costretto a rinunciare dalla violenta pressione dei dirigenti arabi che non volevano alcun accomodamento con gli ebrei.

     

    L’omicidio di Abdullah ha segnato anche i rapporti fra Israele e Giordania con un’ambiguità che ha preso forma diverse nei decenni. Per Israele il regno hashemita è un presidio importante della lunga frontiera orientale, che la separa dai nemici più potenti come l’Iraq e, almeno fino a un certo momento l’Arabia. Per la Giordania Israele è il vicino più potente, da cui dipende non solo militarmente, ma anche per l’acqua e i trasporti. I due stati hanno un nemico comune, il sovversivismo  palestinista che vuol distruggere Israele ma ambirebbe anche a impadronirsi della Giordania, che dopotutto è un pezzo del mandato britannico di Palestina, quello che fu riservato dalla Gran Bretagna agli arabi durante la prima sua prima divisione in “due stati”, nel 1922. Questo asse si è visto in numerosi occasioni, quando la Giordania ha bloccato le azioni terroriste, e in particolare nel settembre del 1970, quando re Hussein si decise, con il tacito appoggio israeliano, a smontare con la forza lo stato nello stato che era stato costruito da Al Fatah. Venne poi il trattato dell’Arvà fra i due stati (1994) e la reazione di Hussein a un terribile attentato terrorista quando un soldato giordano uccise a fucilate sette ragazzine adolescenti in gita scolastica in un parco sul Giordano (1997): il re si recò personalmente a chiedere scusa alle famiglie delle vittime. E però la Giordania non seppe mai resistere alle pressioni della lega araba e partecipò a tutte le guerre contro Israele, rifiutando gli accordi di non belligeranza che Israele le propose. L’occupazione giordana di Giudea e Samaria e di Gerusalemme fu una vergognosa pulizia etnica e culturale, contro tutte le norme umanitarie e i trattati. Inoltre Hussein, ma soprattutto suo figlio Abdullah II che gli è succeduto, non hanno mai risparmiato la retorica palestinista e gli attacchi pubblici allo stato ebraico, principalmente a proposito di Gerusalemme. Inoltre la Giordania si rifiuta di estradare i terroristi che vi hanno trovato rifugio, innanzitutto Ahlam Tamimi, responsabile della strage della pizzeria Sbarro.  Tutto ciò si spiega pensando che la maggioranza dei sudditi giordani, inclusa la moglie del re, ha origini palestinesi e il parlamento è dominato dagli integralisti e il re è continuamente minacciato da rivolte e colpi di stato.

     

    Ci si può chiedere come sarebbero andate le cose se gli arabi, ragionando come Abdullah I, avessero scelto la strada degli accordi invece che della guerra e del terrorismo. Senza dubbio tutto il Medio Oriente sarebbe più prospero e pacifico. Oggi, grazie agli “accordi di Abramo” patrocinati da Trump vediamo come può essere fruttuosa l’accettazione araba dell’esistenza di Israele. Nonostante tutti gli ostacoli, non si può che sperare che questa scelta si generalizzi.

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