In molti paesi del mondo, tra Europa e Stati Uniti, l’antisemitismo è in crescita. Un fenomeno che torna con forza, anche a causa dell’ultimo conflitto tra Israele e Hamas, e che si annida anche nelle manifestazioni di antisionismo. In Italia l’antisemitismo corre soprattutto sul web, come dimostra l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Antisemitismo del CDEC, e sono spesso le tastiere degli influencer, di alcuni politici e personaggi noti a spargere odio sui social network, moltiplicando un messaggio pericoloso. “Non è un odio che rimane solo sulla rete. Si aggrega sulla rete ma poi scende nella strada” spiega Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) e Vice Presidente del World Jewish Congress. Shalom l’ha intervistata per capire cosa stanno facendo l’UCEI e le istituzioni, e quali sono le sfide, per contrastare l’antisemitismo.
Viviamo in moti paesi, e anche in Italia, un aumento di antisemitismo. Quali sono le sfide dell’UCEI in questo senso?
Ci sono vari elementi che ci indicano un aumento di antisemitismo. Le sfide per noi sono saper interpretare, saper leggere la realtà, misurarla e comprendere dove è pericolosa, e capire, per il ruolo istituzionale che abbiamo, con chi e cosa fare. E’ un tema complesso, che ci riguarda ogni giorno. Perché tutti i giorni, purtroppo, accade qualcosa.
In Italia l’antisemitismo corre sul web, ce lo dicono i dati aggiornati dell’Osservatorio Antisemitismo. C’è anche un pullulare di personaggi noti, come di recente Michela Murgia con un’inquietante storia su Instragram, che pubblicano sui social post o storie in cui esprimono atteggiamenti antisemiti o antisionisti. Come affrontate questo fenomeno?
Nell’espressione di antisemitismo c’è di tutto da per tutto. Dagli interventi di personaggi della strada, della politica, agli influencer. Ma quanto una nostra azione può correggere questi comportamenti? Se siamo nel campo del reato, penale, facciamo sempre le denunce, perché così prevede l’ordinamento italiano a nostra difesa. Il secondo obiettivo è incidere sull’opinione pubblica che ruota intorno a questi personaggi. Questo è molto difficile ed è un tema delicato. Io credo che alzare la voce, o fare i comunicati stampa, non sia efficace, anzi l’azione perde di efficacia. Così non si ottengano risultati. A seconda se sia un politico, o un influencer, scriviamo alle redazioni o alle segreterie di partito per sensibilizzare. Ultimamente per un TikTok molto offensivo dell’influencer Tasmin Ali sulla bandiera di Israele, abbiamo fatto denuncia e scritto alla redazione. Lei è giovane, musulmana, molto trendy, e percepita come attivista per le donne musulmane. Ma lei così come difende i musulmani, con la stessa energia denigra Israele e gli ebrei. Lei il rispetto dell’altro ce l’ha per se stessa, ma non le interessa difendere le minoranze. Le abbiamo fatto una denuncia. E’ un dilemma ogni volta decidere cosa fare, perché succede continuamente. Come voce ebraica non possiamo sottrarci alle denunce, alle lettere, a far capire alle realtà istituzionali che hanno il dovere di vigilare.
In vari paesi del mondo si stanno prendendo provvedimenti indirizzati ai colossi dei social network per contrastare l’antisemitismo. Cosa si sta facendo in Italia?
Il lavoro sui social va fatto. I social devono rendersi conto che hanno un impatto talmente forte e penetrante sulla società, che non possono sottrarsi al loro ruolo sociale, non possono limitare le loro responsabilità. Devono aggiungere uno strato di regolamentazione e autoregolamentazione su questi temi. E’ vero che ci sono problemi nello sviluppo della normativa, ma nella battaglia all’antisemitismo i social devono impegnarsi al di là di ciò che questa prevede.
Quale è il pericolo concreto di queste forme di antisemitismo?
La somma di ciò che leggiamo esplode nella società. Non è un odio che rimane solo sulla rete. Si aggrega sulla rete ma poi scende nella strada. In Italia le forze dell’ordine sono assolutamente consapevoli di questa dinamica e svolgono un lavoro molto prezioso. E con loro collaboriamo, ma quando la legge non consente un intervento siamo in una situazione di pericolo. E gestire questa situazione è la sfida.
Lo scenario internazionale non è incoraggiante. In Europa e negli Stati Uniti l’antisemitismo sta avanzando, negli ultimi mesi anche a causa del conflitto tra Israele ed Hamas.
C’è un aumento d’odio marcato, visibile. Molto preoccupante è la situazione in Inghilterra, Francia, e Stati Uniti. Ogni giorno leggiamo di episodi di antisemitismo. Negli Stati Uniti la difesa dal razzismo non va di pari passo con quella dall’antisemitismo. Mi preoccupa anche quello che succede in Israele nelle città, in cui convivono ebrei e musulmani, e ciò riguarda anche le istituzioni locali. Non è un tema strettamente legato all’antisemitismo, ma è un tema di natura sociale che quando scoppia diventa politico e arriva da noi. So bene che gli atti di attacco da parte degli arabi contro gli ebrei sono stati di gran lunga più gravi da parte dei primi, ma qualcosa si è rotto e bisogna provvedere.
Sta scatenando un grande dibattito la legge sulle restituzioni in Polonia. Il Premier polacco ha detto che il paese non pagherà per crimini commessi dalla Germania. Crede che dietro alla legge e a questo tipo di atteggiamenti si celi un’espressione di antisemitismo?
Credo di si. Perché il tema dell’antisemitismo va gestito con uno spessore storico. Se c’è un approccio selettivo, di chi non riconosce le proprie responsabilità come nel mondo polacco, che è proprio l’opposto di quello che ha fatto la Germania, c’è un problema di antisemitismo. Questi atteggiamenti selettivi, e di imporre una lettura storica, sono forme che orientano il pensiero e ed educano le persone ad un rigidismo che porta antisemitismo.
Che ruolo gioca il recepimento della definizione dell’antisemitismo dell’IHRA?
Sul punto vorrei precisare l’impegno che ci aspettiamo rispetto all’invito fatto a livello europeo ed internazionale all’Italia (e tutti i Paesi) per recepire la definizione. Premessa l’autorevolezza politica, scientifica accademica di questa definizione, il concetto di recepimento non deve essere appiattito unicamente sulla pretesa di inserimento dei concetti evidenziati in un test odi norma di legge o più specificatamente del codice penale. Ci sono anche modifiche legislative che abbiamo proposto per rafforzare l’efficacia di alcune norme penali (come aggravanti di norme esistenti o con riguardo all’apologia del fascismo) ma va fatto di più. Il recepimento quindi va considerato come lavoro su più di dimensioni che parte dalla definizione stessa come punto di riferimento internazionale e di legislazione europea. Non possono e non devono essere gli ebrei da soli a “gestire” la lotta ma deve essere un’intera rete istituzionale lavorando anzitutto sul presupposto della coerenza e responsabilità anche storico politica. Quindi con iniziative educative rivolte al mondo della scuola, formative per diverse categorie di professioni e settori, al mondo dello sport, modifiche di norme penali, interventi sui codici di condotta dei media e delle reti sociali, un approfondimento sull’abuso di diritti costituzionali e il rafforzamento di prevenzione da parte delle forze dell’ordine – alle quali va la nostra profonda gratitudine per un costante impegno qualificato e attento forse unico nel panorama internazionale – e non ultimo creare un utile raccordo per affrontare il fenomeno di under reporting – avere presidio immediato e facile per presentare denunce o testimonianze rispetto ad episodi vissuti in prima persona o notati, e su questo stiamo lavorando insieme ad altre istituzioni.
Foto credit Giovanni Montenero – Pagine Ebraiche