Sono stati assolti perché il fatto non sussiste quattro
dirigenti di Lealtà azione, tra cui uno dei leader dell’associazione di estrema
destra, Fausto Marchetti, accusati di apologia del fascismo per una
manifestazione, il 25 aprile 2016, con saluti romani al campo X del cimitero
Maggiore di Milano dove sono sepolti i caduti fascisti della Repubblica sociale.
Lo ha deciso nel processo con rito abbreviato il Tribunale di Milano a seguito
dell’inchiesta del pm Piero Basilone che aveva chiesto 4 condanne a 3 mesi.
Il giudice dell’ottava sezione penale Alberto Nosenzo ha
assolto i quattro imputati, tra cui anche Stefano Del Miglio, Fabio Passanante
e Norberto Scordo, dal reato di apologia del fascismo previsto dall’articolo 2 della
Legge Mancino, che era stato contestato dalla Procura, come
“riqualificato” dallo stesso giudice nell’articolo 5 della Legge
Scelba che punisce le “manifestazioni fasciste”, con la formula
“perché il fatto non sussiste”. Le motivazioni della sentenza tra 45
giorni.
Il procedimento era nato da un esposto dell’Osservatorio
democratico sulle nuove destre, presieduto da Saverio Ferrari, e del legale
Anna Miculan (l’Osservatorio non era stato ammesso come parte civile nel
processo). Quel 25 aprile di tre anni fa, aveva spiegato Ferrari, “ci fu
un corteo di circa 300 persone che fece apologia del fascismo in quel campo
dove non sono solo sepolti ragazzi caduti dalla parte sbagliata, ma anche
gerarchi di Salò”. Sempre da un esposto dell’Osservatorio era scaturito un
altro processo che nei mesi scorsi si è concluso a Milano con altre assoluzioni
per tre esponenti di estrema destra accusati di avere urlato il motto nazista
‘Sieg Heil’ ed esposto uno stendardo della ‘associazione combattenti 29esima
divisione granatieri Waffen-SS’ sempre durante una cerimonia commemorativa dei
caduti della Repubblica sociale, che si svolge ogni anno al campo X nel
capoluogo lombardo. Si è trattato di una “manifestazione del pensiero,
costituzionalmente garantita”, che non ha attentato alla “tenuta dell’ordine
democratico”, aveva scritto il giudice nelle motivazioni, spiegando che
quei simboli erano stati esposti
“all’interno di un contesto commemorativo” e “come tali, pertanto,
privi di quella offensività concreta vietata dalla legge”. Motivazioni simili
a quelle che in diversi altri processi hanno portato ad assoluzioni e
proscioglimenti, anche sulla base di giurisprudenza della Cassazione. Di
recente, tuttavia, il giudice Luigi Varanelli a Milano ha inflitto una condanna
per saluti romani parlando di una “manifestazione” non commemorativa
“nel senso minimalista ma rievocativa”.