Ora che si affaccia la possibilità della ripartenza, adesso che possiamo finalmente uscire fino a tardi e probabilmente tra un po’ anche senza mascherina, tutti parlano di ritorno alla libertà. “Potremo di nuovo rivedere gli amici, riprendere le vecchie abitudini, andare in palestra, uscire di casa più spesso, andare nei negozi, fare acquisti. Finalmente si rinasce”. Queste sono le parole che mi ha detto una giornalista qualche giorno fa, mentre mi intervistava sul significativo aumento dell’ansia in questi ultimi giorni di lockdown.
E se le paure che proviamo dipendessero invece dal fatto che la nostra anima non vuole più fare la vita di prima? Che è stufa di essere utilizzata per fare acquisti, per lamentarsi con gli amici, per vivere tormenti d’amore, per combattere battaglie inutili, quasi tutte centrate sul banale? Nel periodo della chiusura siamo stati costretti a vivere di più la solitudine, ad accorgerci che c’è uno spazio dentro di noi che è totalmente straniero al nostro Io. Mi vengono in mente le parole del grande poeta greco Nikos Kazantzakis, quando scrive: “Anima, la tua patria è sempre stata il viaggio”. Sì, perché siamo percorsi da un viaggio eterno che si svolge al di là delle nostre convinzioni, delle credenze, delle opinioni ed è in movimento, anche quando ci sembra di essere fermi. Siamo percorsi da un eterno divenire e dobbiamo sapere una volta per tutte che non possiamo cambiare il passato e sul presente il nostro intervento è minimo, ma il futuro ci aspetta. Mi viene in mente Jung: “In generale ci teniamo troppo ancorati alla posizione della “psicologia del nient’altro che”, vale a dire crediamo ancora che il nuovo e il futuro che premono alla porta si possano ridurre a viva forza sotto l’etichetta del già noto. E così questi uomini vedono solo il presente, non il futuro. (..). Non si può cambiare nulla al passato e poco nel presente, mentre il futuro è nostro, e può assorbire le più alte tensioni dell’energia vitale. (..). Il nevrotico è malato non perché abbia perso la sua vecchia fede, ma perchè non ha ancora saputo dare nuova forma alle sue aspirazioni migliori”.
Ma quale futuro ci aspetta? Soltanto quello che non abbiamo previsto, ancora di più le cose che accadono senza che le abbiamo programmate: il Viaggio che ha in mente il nostro Io, fatto di pensieri, di rimuginazioni e di omologazione esterna, non ha niente a che vedere con quello che la nostra anima ha “previsto” per noi. I giorni della rinascita sono i giorni della nostra natura unica, la quale è sì cosmica, ma diventa in ciascuno di noi diversa da tutti gli altri. Ripartire sì, ma dalla nostra Unicità…
“Ciascuno deve sapere e ricordare che, nel modo in cui è fatto, è unico al mondo, e che mai è esistito un suo uguale, perché se ci fosse stato un suo uguale non gli occorrerebbe essere”. Buber, Storie e leggende chassidiche, Mondadori, Milano, 2008, pag 234
Così se pensiamo che le abitudini ci salveranno, che ripetere le stesse azioni di un tempo ci farà sentire più a nostro agio, siamo completamente fuori strada. Sentite ancora Buber: “Ogni cosa appare altre volte, ma sempre mutata”. Buber, Storie e leggende chassidiche, Mondadori, Milano, 2008, pag 233
In questa chiave diventa fondamentale svegliarsi ogni mattina e dirsi: cosa accadrà oggi di nuovo? Che incontri farò, quale animale mi verrà vicino, di quali fiori sentirò il profumo, che sogno mi regalerà questa Notte? Quanta meraviglia è venuta a trovarmi oggi?
Il viaggio della nostra vita non si è svolto all’insegna del nostro Io: eravamo una cellula fecondata, e poi un embrione, un feto, la nascita, il latte, i primi passi, la pubertà, la maturità. Tappe che non abbiamo stabilito noi, che sono iscritte nel “DNA dell’anima”, della vita che ci scorre dentro a nostra insaputa. Siamo esseri antichi, lo dobbiamo ricordare sempre. Come uomini e donne abbiamo passato guerre, epidemie, carestie e siamo ancora qui a ricordarci che apparteniamo al mondo e alle sue leggi eterne: siamo continue primavere, estati, autunni, inverni… Nella corsa al giovanilismo dei nostri tempi, nel rincorrere continuamente il lifting per “rifarci” il volto, dimentichiamo che invecchiare è forse la tappa più importante della nostra esistenza. Così un proverbio svedese dice, come ricorda Hillman, “che il pomeriggio sa cose che il mattino ignora”. Per questo Ulisse non si ferma da Calipso che gli promette l’eterna giovinezza ma va verso quello che è il destino umano. Ulisse sa come nessuno che siamo un eterno divenire, che si svolge lungo leggi eterne, dove il senso della vita è ritrovare le Immagini dell’anima che ci conducono verso la nostra terra promessa. Adin Steinsaltz ci ricorda magistralmente che i disagi sono proprio le voci dell’anima (noi psicanalisti diremmo della psiche, del Sè) che ci chiamano per farci ritrovare la rotta perduta. Il grande studioso del Talmud sa bene che ansia, tristezza, paure, insicurezza e inquietudini sono tappe inscindibili dal nostro cammino. Mi vengono in mente le parole di Bachelard: “Nessuna tempesta è in grado di impedire all’albero, quando è la sua ora, di diventare verde”.
Si, siamo antichi come il mondo, siamo piante, animali uomini e donne che vivono tra ciò che passa e l’eterno. Per questo le religioni celebravano i riti, perché solo la psiche antica, primordiale, fuori dal tempo, porta sollievo. Prima e dopo il lockdown siamo gli stessi di sempre: mortali! Ma calati in un viaggio che da una cellula fecondata ci ha portati fino a qua, tra guerre, epidemie, sconfitte, fallimenti e gioie.
Ripartire è semplicemente ricordarsi che c’è una casa, il Sé, fatto di immagini antiche, senza le quali siamo foglie nel vento. La scienza rassicura le paure dei nostri fragili corpi, parla al nostro lato razionale, ma purtroppo non ha parole per la psiche, che è già mutata mentre cerchiamo di evitare il contatto con lei. Ripartire non è certo andare in spiaggia tutti insieme, o bere come fanno gli adolescenti in gruppo o danzare nel banale e nell’inutile. No, ripartire è avvicinarsi alle eterne leggi del divenire, del viaggio, della metamorfosi che abita nel profondo di ogni essere umano. Per questo Pessoa, il grande poeta portoghese, diceva che per vivere dobbiamo navigare. Per andare dove?
In quel luogo dove ci sono i temi eterni. Questo è rinascere: non diventare migliori, ma incontrare le proprie debolezze, le proprie fragilità, i lati di noi che non ci piacciono e che pure ci appartengono, che sono tappe insopprimibili del nostro sviluppo.
Navigare finalmente nella “santa insicurezza”, come dicono i maestri ebrei, è il nostro compito, non cercando abitudini da ritrovare, ma nuove esperienze da scoprire.
Non c’è da ripartire, ma ricordarsi che abitiamo in una casa che non assomiglia a quella di nessun altro. Ritornare alle abitudini ci darà soltanto un sollievo momentaneo: senza immaginare, senza fantasia, senza creatività perderemo di vista l’immenso e ci resterà solo il banale. Perché il lockdown ci ha insegnato a stare più da soli, a non identificarci solo con l’esterno, ad ascoltare quel silenzio che fa accadere le cose necessarie al nostro sviluppo.