Settimia Spizzichino nasceva il 15 aprile 1921 (anche se registrata all’anagrafe il 16 aprile) e liberata a Bergen Belsen il 15 aprile 1945: il giorno del suo 24mo compleanno. Nata due volte, come soleva ripetere. Nata a nuova vita libera, una vita che pensava di aver perso, una libertà che non aveva più, cittadina nell’universo concentrazionario. Eppure ce l’ha fatta. Sopravvissuta al lavoro coatto, agli esperimenti, al progetto di annientamento fisico e morale. Tornata per “tigna”, che a Roma significa “ostinazione”, “testardaggine”. Settimia è rimasta in vita e ha onorato la sua promessa: sopravvivere per testimoniare. La giovane ribelle di Via della Reginella, che nonostante le leggi razziste andava di nascosto a prendere il caffè a via Veneto o a comprare i peperoni a borsa nera, ha mantenuto il carattere indomito che, negli anni, l’ha resa protagonista di battaglie politiche e sindacali. Sempre in prima linea, lei che rifiutò di emigrare in un altro paese alla fine della guerra, rispondendo “anche ai Castelli Romani mi sento straniera”. Lei che rifiutò la candidatura al Senato perché diceva: “Sono donna di popolo, non di corridoi”. Era così, terribilmente schietta che, discutendo con il Sindaco Rutelli su una cosa che non condivideva, gli disse “Ma guarda che sei proprio impunito!”. Ne sapeva qualcosa Rav Toaff z.’l, con il quale era legata da un affetto profondo e da un rispetto reciproco, come accade solo tra grandi che si “riconoscono”. Eppure io faccio ancora molta fatica a scindere la Settimia sopravvissuta al lager dalla Settimia persona di famiglia. Quando penso a lei ricordo episodi anche molto divertenti come quella volta che mi aveva accompagnata a fare il controllo dal pediatra di mio figlio al Bambino Gesù e si accese una sigaretta nell’ambulatorio…. Oppure quando entrammo insieme come due pazze alla presentazione del libro “Stella di Piazza Giudìa” di Giuseppe Pederiali nella Sala della Piccola Protomoteca in Campidoglio, per protestare contro una ricostruzione storica che non era reale: io incinta di 6 mesi e lei con la manica alzata e il numero di matricola bene in vista: 66210.
È stato più complicato parlare ai giovani di Shoah ultimamente, causa anche la pandemia, che ha reso impossibile il rapporto diretto con gli studenti e interrotto i Viaggi della Memoria. Abbiamo tanto materiale audiovisivo con le testimonianze dei nostri sopravvissuti ma ciò che più mi sta a cuore, è insegnare loro a riconoscere i sintomi di una società che si ammala, di aiutarli a “contestualizzare”, fornendo gli strumenti per non rimanere indifferenti e per non confinare ricorrenze come il Giorno della Memoria ad un’epoca per loro lontana, bensì recuperarne il senso profondo e trasformarle in antidoto potente contro ogni tentativo di affermazione di valori che non rispettino quelli sanciti dalla nostra Costituzione. Perché possano essere cittadine e cittadini consapevoli nel rispetto dei diritti e delle libertà di ciascun essere umano.
Ho un debito di riconoscenza nei confronti di zia Settimia: la mattina del 16 ottobre 1943, ebbe la prontezza d’animo di dire al giovane soldato tedesco che mia nonna Gentile (sua sorella) era ariana, la donna delle pulizie. Lei aveva in braccio la piccola Rosanna di 18 mesi e per mano mia madre Letizia. Ci credette e fece segno a mia nonna di andarsene…. Nonna Gentile e mia madre Letizia si sono salvate e io, mio fratello Angelo e i nostri figli Jonathan e Aaron sono potuti nascere. Sia benedetto il suo nome. Ledor vador, di generazione in generazione.
Zia Settimia Spizzichino ci ha lasciati il 3/7/2000. Tornai a casa dal Fatebenefratelli, dove si era spenta per infarto, disperata. Mi stesi sul letto, impietrita, incapace di versare una sola lacrima. Muta, guardavo il soffitto, ancora incredula.
Consapevole della perdita, non solo familiare. Il mondo aveva perso una grande testimone. Mi addormentai all’alba per pochi minuti. Sognai di essere in Polonia, di non riuscire a trovarla, di cercarla ovunque finché ricevetti una sua telefonata: “Zia, ma dove sei? Mi hai lasciata sola in questo paese, senza portare con te la tua valigia! È pesante …”
E lei rispose: “Lo so. È pesante, ma da oggi dovrai portarla tu”
È stato il suo testamento morale. Da quella notte del 3/7/2000, porto con me la sua valigia. Con grande fatica. E orgoglio.