Come fosse un buco nella serratura Shtisel ci ha offerto una opportunità rara. Quella di conoscere, o di meglio approfondire usi costumi e pensieri di una comunità quasi impermeabile e molto chiusa. Come osservatori invisibili siamo entrati tra i vicoli di Geula a Gerusalemme, il quartiere degli haredim, dove a regolare la vita è l’ortodossia. Giornate scandite nel nome di norme antichissime, che la tradizione vuole immutabili, per le quali la commistione con le realtà più laiche non è impensabile ma sgradita.
Un mondo che dall’esterno dunque potrebbe apparire immobile nella sua devota ripetitività. Ed è qui la rivelazione, che man mano si fa strada in ciascuna puntata delle tre serie Netflix, e che ha ampliato negli anni la platea degli affezionati tanto da far diventare Shtisel una serie cult. Intanto la linea portante, ovvero il conflitto generazionale tra il protagonista Akira (Kive) e il padre, capostipite della famiglia, il rabbino Shulem rigoroso e ironico insieme. Un conflitto giocato tra la passione del giovane per l’arte figurativa e l’inevitabile biasimo dell’anziano genitore. Akiva sceglierà di dar voce al suo dono, pur restando ancorato alla tradizione.
Il padre, e il figlio, che di sera, dimenticano i diverbi e seggono a fumare sul balconcino di casa è il momento della ritrovata unità e del riconoscimento dell’obiettivo condiviso.
Antico e moderno, storia e futuro, l’insegnamento del Libro e le necessita del presente, l’esigenza di confermare la propria identità e l’urgenza del quotidiano. È questa disputa interiore che anima i pensieri dei protagonisti, rendendo le loro emozioni più ricche di spunti di riflessione, fra sprazzi di comicità tutta yiddish e autorevoli citazioni religiose.
In una società antica, in cui gli uomini si dedicano agli studi religiosi nelle Yeshiva e le donne tengono il capo coperto, fanno figli e vestono con modestia, comprendiamo anche, attraverso il buco della serratura di Shtisel che non tutto è come sembra.
Che il precetto religioso sa trovare sempre nuove strade quando i limiti imposti rischiano di mettere in crisi la vita umana.
Che i matrimoni, è vero, sono combinati. Ma se c’è l’amore è lui a dominare. E a decidere è lei.
E che proprio le donne, grazie al lavoro per portare avanti la famiglia, sanno frantumare gli stereotipi. Conquistano l’indipendenza economica e la forza di indicare la strada a marito e figli. E persino guadagnano il diritto alla patente, purché non si sappia, laddove tecnologia ed automobili hanno scarsa e malvista cittadinanza.
Quelle stesse donne, che in un dialogo della terza serie si rivelano la scoperta di essere simili alle donne laiche, di avere uguali problemi coniugali e ingoiare gli stessi rospi.
Con sobrietà e intelligenza gli ideatori e sceneggiatori Ori Elon e Yehonatan Indursky hanno composto un puzzle umano e un panorama antropologico capace di creare empatia e partecipazione per la famiglia Shtisel e i suoi turbamenti. Hanno conquistato a pieno merito riconoscimenti internazionali e 16 nomination per gli Academy tv Israeli Award, Ci hanno offerto il lavoro di attori straordinari. E soprattutto hanno abbattuto un confine culturale donandoci differenti prospettive su cui riflettere.