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    Parashà di Vayakhèl-Pekudè. I patti vanno fatti in pubblico

    All’inizio della parashà di Vayakhèl è raccontato che Moshè radunò tutta l’assemblea del popolo d’Israele, con queste parole: “Moshè convocò tutta la radunanza dei figli d’Israele, e disse loro: Queste sono le cose che l’Eterno ha ordinato di fare. Sei giorni si dovrà lavorare, ma il settimo giorno sarà per voi un giorno kòdesh, uno shabbàt di assoluto riposo, consacrato all’Eterno…”(Shemòt, 35:1-2).

    R. Moshè  Feinstein (Belarus, 1895-1986, New York)  in Daràsh Moshè fa notare la stranezza di questo evento. Nella parashà di Vayèlekh, alla fine del libro di Devarìm, Moshè  diede ordine che ogni sette anni durante la festa di Sukkòt venisse chiamata l’assemblea di tutto il popolo per essere presenti alla lettura di tutto il libro di Devarìm. Nella Mishnà  (trattato Sotà, 7:8 ) è raccontato con molti dettagli l’evento quando il  re Agrippa lesse il libro di Devarìm nel cortile del Bet Hamikdàsh “e i maestri lo lodarono”. Ai tempi di re Agrippa abitavano nella terra d’Israele milioni di ebrei.  Prima di lui  ‘Ezra aveva letto la Torà davanti alle poche migliaia di israeliti tornati dalla Babilonia’ (Nechemia, 7:72).

    R. Avraham ibn ‘Ezra (Tudela, 1189-1167, Calahorra) commenta che all’assemblea generale del popolo partecipavano anche i residenti non-ebrei che avevano accettato di osservare le sette leggi dei Noachidi.

    La stranezza di questo evento è che questa assemblea generale del popolo era un’assemblea straordinaria e non quella prevista ogni sette anni. R. Feinstein ne spiega il motivo. In questo evento Moshè  insegnò la mitzvàdell’osservanza dello shabbàt, ordinando di “non accendere il fuoco nelle vostre dimore nel giorno dello shabbàt”.

    È perché proprio scegliere la melakhà (attività creativa) di accendere il fuoco tra tutte le trentanove melakhòt di shabbàtR. Mordekhai Hakohen (Zefat, 1523-1598, Aleppo) nel commento Siftè Kohèn, scrive che viene menzionata la proibizione di accendere il fuoco perché tutte le melakhòt hanno bisogno del fuoco in un modo o nell’altro.

    R. Feinstein sottolinea che lo shabbàt è chiamato “un segno” del “patto eterno” tra Dio e il popolo d’Israele. Per questo era necessaria la presenza di tutto Israele allo scopo di pubblicizzare la mitzvà. E così pure anche tutti gli altri “segni” del patto devono essere fatti in pubblico. Questo è il motivo per cui il berìt milà (il patto della circoncisione) che è anch’esso un patto tra Dio e il popolo d’Israele viene fatto in pubblico, facendo un giorno di  festa.  Il patto della milà è scritto nella parashà di Lekh Lekhà: “Poi Dio disse ad Avraham: Quanto a te, tu osserverai il mio patto: tu e la tua progenie dopo di te, di generazione in generazione. Questo è il mio patto che voi osserverete, patto fra me e voi e la tua progenie dopo di te: ogni maschio fra voi sia circonciso. E sarete circoncisi; e questo sarà un segno del patto fra me e voi (Bereshìt, 17:9-11).

    R. Feinstein aggiunge che questo spiega anche l’usanza che subito dopo la milà i presenti dicono: “Cosi come è entrato nel patto, possa lui entrare nella Torà, nella chuppà (il baldacchino nuziale) e nelle buone azioni”.  A parte il fatto che questa è una benedizione per il neonato, questa formula proclama i termini del patto tra Dio da una parte e il bambino e i suoi genitori dall’altra.  Questo perché sono i genitori che hanno la responsabilità di insegnare al figlio a servire l’Eterno studiando la Torà, a sposare e mettere su famiglia seguendo le strade della Torà e comportandosi bene per il resto della sua vita.

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