Oltre alle battaglie militari, a quelle diplomatiche, giuridiche e commerciali, nel tormentato Medio Oriente vi sono anche le battaglie archeologiche. Molti ricorderanno le cannonate dei talebani contro le antiche statue di Buddha in Afghanistan, o la distruzione ad opera dello Stato Islamico (ISIS) dei resti romani di Palmira (compreso l’omicidio dell’archeologo che ne curava la conservazione) o dei resti assiri di Ninive. La ragione è la stessa espressa, a quanto si dice, dal primo governatore musulmano dell’Egitto che fece bruciare la biblioteca di Alessandria, il più venerabile e vasto archivio letterario dell’antichità: “se quel che dicono questi oggetti corrisponde all’insegnamento islamico, sono inutili, perché tutto è già nel Corano, e quindi si possono tranquillamente distruggere. Se lo contraddicono (come i resti pagani fanno per definizione) sono oggetti malefici e devono essere fatti sparire”. Ma l’Autorità Palestinese ha una ragione in più per distruggere i resti antichi nei luoghi che controlla in Giudea e Samaria: essi testimoniano dell’antica storia ebraica, corrispondono alle narrazioni bibliche e quindi sono ostacoli alla riscrittura della storia che essa persegue, per cui vi sarebbero sempre stati in Terra di Israele i palestinesi e gli ebrei sarebbero comparsi improvvisamente venendo dall’Europa un secolo fa. Per questo i palestinisti hanno distrutto i resti trovati nei loro scavi sul Monte del Tempio, per questo cercano di distruggere tombe e monumenti antichi dove li trovano. L’ultimo caso è stato quello dell’altare attribuito a Joshua ben Nun (Giosuè) sul monte Ebel a nord di Shechem (Nablus) in Samaria. Col pretesto di prendere materiali per costruire una strada, gli operai dell’Autorità Palestinese hanno distrutto un muraglione di sostegno risalente al secondo millennio prima della nostra era. In seguito all’allarme suscitato sulla stampa israeliana si sono fermati e hanno detto che si trattava di un “equivoco” e che non si sapeva cosa fosse quel monumento – una giustificazione palesemente falsa, perché basta consultare la rete per vedere che la municipalità locale da alcuni anni voleva attribuirlo al “patrimonio storico palestinese”. Questa battaglia insomma è stata bloccata, ma la guerra alla memoria ebraica continua.