Sono passate poco più di due settimane dall’inaugurazione della presidenza Biden e purtroppo i fatti confermano le preoccupazioni della vigilia, almeno per quanto riguarda il Medio Oriente. Nella raffica di decreti con cui Biden ha scelto di seppellire immediatamente le scelte di Trump, spiccano alcune decisioni chiave. Innanzitutto due nomine, quella di Maher Bitar, americano di origini palestinesi, al ruolo chiave di direttore del National Security Council, che è l’istituzione di coordinamento della complessa comunità dell’intelligence americana e l’interfaccia fra essa e la presidenza, che ha il compito di selezionare le informazioni che arrivano a Biden. Bitar era membro del Council sotto Obama e ha un curriculum tutto ideologico, si è laureato sulle “migrazioni forzate” e ha lavorato all’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che appoggia l’irredentismo palestinista. Analoga è la nomina di Robert Malley a responsabile dell’amministrazione per Iran, Iraq, Stati del Golfo: l’inviato di Obama per la trattativa con l’Iran che ha condotto al trattato Jcpoa e non ne ha mai riconosciuto i difetti. Ora cercherà di restaurarlo, e ha già dichiarato che Biden dovrà essere meno accondiscendente coi vecchi alleati. Insomma, si ritorna sulla vecchia strada di Obama della politica di appoggio all’imperialismo iraniano. Le prime scelte concrete vanno già in questa direzione. Biden ha sospeso la vendita degli aerei avanzati F35 agli Emirati Arabi, non certo per difendere la superiorità aerea di Israele, ma per non danneggiare l’aviazione iraniana; ha ritirato la portaerei americana che stazionava nel Golfo Persico per rendere più difficile agli iraniani gli atti di pirateria nei confronti delle petroliere dirette in Arabia e soprattutto ha annunciato la fine della collaborazione con l’Arabia stessa nella guerra difensiva contro i ribelli Houthi che dominano lo Yemen con l’appoggio iraniano: una mossa che rischia di cedere all’Iran (e alla Cina, che sta costruendo una base navale importante da quelle parti) il controllo dell’importantissimo stretto di Bāb el-Mandeb fra Yemen e Gibuti, che controlla l’accesso al Canale di Suez e al Mar Rosso, da cui passano le merci dell’estremo oriente e il petrolio per l’Europa, oltre che per Israele e l’Egitto. E’ una politica che premia l’imperialismo iraniano, avviato ormai all’armamento atomico. A questo punto i paesi “puniti” da Biden (incluso Israele, dato che il nuovo presidente non ha trovato in due settimane il tempo per un colloquio telefonico con Netanyahu) dovranno affrontare la scelta fra cercare di resistere da soli all’Iran o subire i suoi attacchi nella speranza che l’America cambi idea in tempo. Anche su questo si giocano le elezioni israeliane.