Viviamo quel periodo storico in cui i nipoti e pronipoti della Shoah sono abbastanza grandi per proseguire il racconto delle storie di famiglia riguardo la guerra, le deportazioni e la Shoah. Per questo, anche quest’anno Il Pitigliani ha rinnovato l’evento “Memorie di famiglia – i giovani tramandano le storie dei nonni”, a cui hanno aderito diversi esponenti del mondo ebraico italiano e del giornalismo, e persino il noto attore Pierfrancesco Favino. La chitarra del professore Emanuele Levi Mortera ha intervallato i vari interventi e le letture dei giovani ragazzi, come quelle recitate dai nipoti di Dario Foà, che raccontano: “Da casa nostra vedevamo il golfo e vedevamo le navi americane che si avvicinavano ma poi giravano e tornavano indietro. Non erano sicuri se c’erano ancora i tedeschi o no. Poi, un bel giorno, il 1° ottobre, si sono decisi e sono entrati a Napoli. Quando entrarono gli alleati ci riversammo tutti per le strade”. Altri ragazzi hanno letto le testimonianze dei propri nonni, tra questi anche Joshua Limentani, pronipote di Errina Fornaro Di Veroli, che legge: “Sono stata liberata a maggio del 1945, in un campo vicino a Ravensbrück dove mi avevano mandato per continuare gli esperimenti. Sono tornata a casa il 1° settembre 1945. Sul treno un prete mi aveva dato 5 mila lire per rifarmi una vita. […] Poi ho preso una tradotta. Gli ho detto “Mi porti al ghetto” e quello mi ha risposto “Al ghetto, signò? E che c’annate a fa’: l’ebrei l’hanno ammazzati tutti”. Ma io c’avevo Stella che m’aspettava a casa e quindi gli ho detto “Ci voglio andare lo stesso”. Arrivata a Via dei Falegnami, ho rivisto una ebrea che tornava da fare la spesa: sono scesa di corsa ed ho imboccato Via della Reginella. A metà della via mi sono fermata; mi era presa paura. Allora si è affacciata quella che se chiamava Fiore; me guarda e me fa:” Rina, ma sei Rina? Cori Rina va a casa che c’hai marito e figli che t’aspetteno“. A quel punto ho cominciato a correre. Lei intanto ha cominciato a strillare “corete, corete, è ritornata Rina d’Agesilao”.
Molti sono stati gli interventi in memoria di tutti coloro che vissero quei fatidici giorni. Quello organizzato da Il Pitigliani è un progetto che va avanti da dieci anni e con il quale si è riusciti ad entrare in più di 150 case, dentro le quali è stato innescato il meccanismo del racconto, tramandato poi ai nipoti.
Per ultimo ha preso la parola Pierfrancesco Favino, che ha interpretato un testo scritto da Renzo Gattegna, Z”L, che inizia raccontando della madre: “Era stata bravissima in tutto quel tempo. Sola con tre bambini, in un quartiere diverso da quello in cui eravamo nati, due stanze di un convento che ci aveva offerto riparo, con un marito lontano nascosto in un qualche rifugio di fortuna. Senza mai alterare la verità, ma usando parole caute per non alimentare in noi altre paure, aveva sempre cercato di rispondere alle nostre domande. Troppo piccoli per capire davvero, tutti e tre avevamo la percezione di essere in costante pericolo, e solo la sua amorevole e rassicurante presenza ci aveva permesso di vivere almeno un po’ di quella gioia che è necessaria all’infanzia come l’aria che si respira. “Da oggi cambia tutto”, disse allegra, e provò a spiegarci il significato di quella festa spontanea. I soldati, che avevamo visto sfilare su camionette e blindati, erano ragazzi che avevano lasciato le loro famiglie e le loro città, rischiando la vita e rinunciando alla giovinezza per venire a combattere in un paese sconosciuto una guerra scatenata dalle dittature europee. Quella mattina di giugno, a Piazza di Spagna, è il primo ricordo che mi appartiene interamente, come se la vita per me fosse cominciata quel giorno. Avevo quattro anni, troppo pochi per capire il senso di quegli eventi ma sufficienti per sentirne l’impatto emotivo e trattenerli per sempre nella mente e nel cuore. Nel corso degli anni, quelle scene di incontenibile gioia collettiva sarebbero tornate spesso ad affiorare nella memoria, ma non erano più solo immagini del passato, perché con il tempo avevano acquistato un senso compiuto ed erano diventate per me un riferimento insostituibile. La conseguenza più importante di aver vissuto quel giorno fu la convinzione di appartenere ad una generazione fortunata, che non avrebbe più vissuto guerre né la violenza di una dittatura”.