La parashà di Bo ha inizio dopo che gli egiziani sono stati soggetti a sette delle dieci piaghe. Il faraone continua rifiutare di lasciare andare gli israeliti e così arriva la piaga delle cavallette che mangiano tutto quello che non era stato distrutto dalla precedente piaga della grandine (Shemòt, 10:5). È passato quasi un anno dall’inizio delle piaghe e la popolazione è arrivata al limite della sopportazione tanto che i cortigiani del faraone gli dissero: “Fino a quando questo popolo ci sarà d’inciampo? Lascia andare questa gente che prestino culto al loro Dio. Non ti rendi conto che l’Egitto è in rovina?” (Shemòt, 10: 7).
Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) scrive che alcuni commentatori affermano che tra la piaga della grandine e quella delle cavallette passò molto tempo; “ma la mia opinione è che il lasso di tempo tra le due piaghe fu molto breve, perché è noto che le punizioni degli egiziani non durarono più di un anno come abbiamo imparato dal trattato di ‘Eduyòt. E questo lo sappiamo dagli anni di Moshè”. Infatti nella Torà è scritto che Mosè aveva ottant’anni quanto si presentò dal faraone (Shemòt:7:7), il popolo fu nel deserto per quarant’anni e Moshè visse centoventi anni.
Il Nachmanide dimostra che il lasso di tempo tra la piaga della grandine e quella delle cavallette doveva essere molto breve perché tutto avvenne nello stesso anno e le cavallette distrussero quello che non aveva rovinato la grandine. Egli afferma quindi che la grandine era caduta nel mese di Adàr (in genere coincide con marzo) perché nella Torà è scritto che “l’orzo era quasi maturo” (Shemòt, 9:31). “Il frumento e la spelta non furono danneggiati perché sono tardivi” (ibid., 32). Il frumento e la spelta erano quindi le colture che erano rimaste indenni dalla grandine ed erano maturate nel mese successivo di Nissàn nel quale gli israeliti uscirono dall’Egitto.
Nel trattato di ‘Eduyòt (2:10), citato dal Nachmanide, è scritto a nome di R. Akivà: “Vi sono cinque eventi che durarono dodici mesi: la punizione (lett., il giudizio, din in ebraico) della generazione del diluvio; la punizione di Iyòv (Giobbe); le punizioni inflitte agli egiziani; le punizioni di Gog e Magog; e la punizione dei peccatori nel purgatorio (Gehinnòm)”.
R. Bahya ben Asher ibn Halawa (Saragozza, 1255-1340), basandosi su quanto già detto dal Nachmanide, afferma che la prima profezia di Moshè al roveto ardente avvenne il 15 di Nissàn. Dopo sette giorni, quando fu convinto ad accettare la missione, Mosè tonò a Midiàn a congedarsi dal suocero Yitrò. Ed è possibile, afferma R. Bahya, che il primo incontro tra Moshè e Aharòn e il faraone avvenne già alla fine di Nissàn. Il faraone indurì il lavoro degli schiavi costringendoli a raccogliere paglia da soli. [R. Avraham bar David (Provenza, 1125-1198 ) nel suo commento a ‘Eduyòt scrive che la paglia è disponibile nel mese di Iyàr]. Nei mesi di Iyàr, Sivàn e Tammùznon vi furono piaghe. La prima piaga, dell’acqua che si trasformò in sangue, ebbe luogo nel mese di Av e durò sette giorni seguita da quella delle rane. Chayim Dov Shevel, l’editore del commento di r. Bahya, specificò che la terza piaga, dei pidocchi, avvenne nel mese seguente di Tishrì, quella degli gli animali selvaggi in Cheshvàn, la peste del bestiame in Kislèv, le piaghe della pelle a Tevèt, e poi la grandine ad Adàr, le cavallette e l’oscurità e quella finale della morte dei primogeniti a Nissàn. Pertanto, conclude R. Bahya, quando nella mishnà è scritto che le punizioni degli egiziani durarono dodici mesi, non significa che vi furono dodici mesi di piaghe ma che vi furono dodici mesi da quando Moshè venne dal faraone.