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    Il rapporto padre-figlio e il ruolo della memoria, nel libro di Emanuele Fiano

    Ieri è stato presentato da Maurizio Molinari, Susy Barki, Pierluigi Battista e Liliana Segre “Il profumo di mio padre”, libro scritto da Emanuele Fiano per la casa editrice Piemme.

    «Noi figli dei sopravvissuti alle camere a gas di Birkenau non siamo normali. Lo sa bene la mia amata moglie e lo sanno i miei figli, e forse le mogli di tutti i figli della Shoah e i loro amati figli. Come prima le nostre madri o padri. Noi non abbiamo ascoltato solo parole dolci e tenere dai nostri padri, non solo favole ci è capitato di ascoltare, ma il silenzio impastato di lacrime e urla».

    Nasce così un racconto che, trascendendo la dimensione della Shoah, si rifugia nel terreno del rapporto padre-figlio, della memoria delle generazioni del dopo, della responsabilità collettiva. L’autore ripercorre a ritroso il proprio vissuto in rapporto al padre, Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz. 

    «Da lui ho imparato a usare la memoria come metodo di ragionamento, da solo ho imparato che questa è un fatto univoco. (…) Vivere con mio padre all’inizio voleva dire crescere con i tabù, capire il passato solo a pezzi. (…) Tengo a mente la sua storia con sofferenza, ricordo me bambino, figlio di un padre che piangendo mi chiedeva di essere forte per lui». 

    L’attenzione verso Shoah e memoria richiede un’azione prima individuale e poi collettiva. È forse questa la ragione per cui Europa e Israele hanno impiegato del tempo prima di fare i conti con il passato? Alla base non c’è forse un’impreparazione nel metabolizzare il proprio vissuto? Tale incapacità deriva piuttosto da una dialettica intrinseca al ricordo e all’oblio presente tanto nella politica quanto nella storiografia? 

    Come decifrare ciò che è accaduto e come è possibile guardare avanti? Cedere al fascino esercitato dalla retrotopia– per dirla con Bauman – è facile ma ingannevole ricorda l’autore: «Guardare indietro laddove il presente appare negativo e il futuro persino peggiore è pericoloso (…) io preferisco guardare avanti. Nella notte più buia di Birkenau, quando tutto era nero, mio padre pensava all’alba, così tento di fare io».

    A chiudere le parole di Liliana Segre: «Da madre vedo nella scrittura di Emanuele quello che mi auguro un giorno i miei figli scriveranno di me: spero che anche loro potranno dire di ricordare il profumo della madre». Profumo, ricordiamo noi, che sa di libertà. 

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