È morto a 95 anni Michel
Bacos, pilota dell’aereo dell’Air France dirottato nel giugno 1976 nella tratta
Tel Aviv – Parigi dai terroristi del Fronte popolare per la liberazione della
Palestina (FPLP) che lo fecero atterrare, dopo qualche scalo, ad Entebbe
(Uganda). I terroristi – tre tedeschi e un palestinese – decisero di separare i
passeggeri ebrei dai non ebrei, ma il Capitano Bacos, che aveva combattuto con
Charles De Gaulle contro i nazisti, vi si oppose, ed è a tutt’oggi considerato
un eroe. Gli ebrei erano 106, di cui 94 erano israeliani. Il commando aveva
annunciato che avrebbe ucciso gli ostaggi se non fossero stati liberati dei
terroristi prigionieri in Israele e in altri Paesi, e quindi la decisione di
Bacos era quella di un eroe.
Gli ostaggi furono poi
liberati con una brillantissima operazione dello Stato d’Israele; muore
eroicamente il comandante della Sayeret Matkal, Jonathan Netanyahu, fratello
maggiore dell’attuale Premier. In una lettera al fratello nel dicembre 1973
egli scrisse che preferiva essere in uno stato di guerra continua piuttosto che
essere un ebreo errante.
In Italia, l’Unità, organo ufficiale del
Partito Comunista Italiano, scrisse che l’operazione Entebbe costituiva
un’aggressione ingiustificata ed una violazione della sovranità dell’Uganda, “un cinico atto di aggressione cui nessuna norma del
consorzio dei popoli offre giustificazione”. Al
riguardo, Fabio Nicolucci scrive che “un altro esempio di questo
conservatore e sviante formalismo giuridico, che finisce per impantanare la
sinistra in una posizione insostenibile dal punto di vista politico e
umanitario, è il giudizio di condanna del raid di Entebbe del 1976” (….) con ciò scambiando formalismo
giuridico per la sostanza della violazione e così danneggiando la vitalità
della propria cultura politica” (Sinistra e
Israele. La frontiera morale dell’Occidente, Salerno editore, Roma, 2013, p.
41).
Per il PCI, salvare ad
Entebbe gli ebrei era un cinico atto di aggressione, mentre per l’invasione
della Cecoslovacchia da parte dell’URSS nel 1968 tutto si era risolto
manifestando semplicemente un “grave dissenso”, asserendo che «allo stato dei
fatti, non si comprende come abbia potuto in queste condizioni essere presa la
grave decisione di un intervento militare. L’ufficio politico del PCI considera
perciò ingiustificata tale decisione, che non si concilia con i principi
dell’autonomia e indipendenza di ogni partito comunista e di ogni Stato
socialista e con le esigenze di una difesa dell’unità del movimento operaio e
comunista internazionale. È nello spirito del più convinto e fermo
internazionalismo proletario, e ribadendo ancora una volta il profondo,
fraterno e schietto rapporto che unisce i comunisti italiani alla Unione
Sovietica, che l’ufficio politico del PCI sente il dovere di esprimere subito
questo suo grave dissenso».
Dal canto suo, Kurt
Waldheim, all’epoca Segretario delle Nazioni Unite, dichiarò che l’operazione
Entebbe costituiva una grave violazione della sovranità ugandese; soltanto in
seguito si scoprì che il passato guerresco di Waldheim non era immacolato.
Quanto al formalismo
giuridico prima accennato, si è posto in rilievo come la condotta di Israele
rientrasse nel diritto internazionale consuetudinario e che riguardasse
l’autodifesa, a fronte dell’esigenza di salvare la vita dei suoi cittadini
(vedi Jordan J. Paust, – Entebbe and Self-Help: The Israeli Response to
Terrorism 1978 -. 2 The Fletcher Forum 86, 1978; U of Houston Law Center
No. 2014-A-81).
Quanto al ruolo dell’ex PCI,
la politica dei due pesi e due misure gli sopravvive e non sembra che se ne veda la fine.