Giovedì scorso due missili iraniani Fajir sono stati sparati da da Gaza su Tel Aviv, arrestati dal provvidenziale sistema Iron Dome. Era la prima volta dal 2014. L’aviazione israeliana ha replicato subito colpendo un centinaio di obiettivi militari in Gaza, senza però provocare vittime: una mossa di serio avvertimento che derivava dalla valutazione poi pubblicata dallo stato maggiore per cui i lanci erano stati “un errore”, o più probabilmente l’iniziativa di terroristi di basso livello, senza l’indicazione della dirigenza di Hamas. Infatti non vi sono state risposte alla rappresaglia israeliana e addirittura Hamas ha impedito i soliti assalti di massa alla frontiera che da un anno vanno in scena tutti i venerdì. L’episodio sembra dunque chiuso. Ma insegna alcune cose interessanti. In primo luogo non è vero che Israele abbia perduto la sua deterrenza su Hamas, come si è affrettato a dichiarare Gantz facendo eco da sinistra alle critiche che a Netanyahu erano state fatte la scorsa crisi dall’estrema destra. La gestione oculata delle crisi da parte del governo e dell’esercito israeliano è ancora capace di contenere i terroristi senza affrontare i costi politici e umani di un’operazione militare. La seconda lezione è che i terroristi possono ancora minacciare il centro di Israele grazie ai rifornimenti e all’appoggio che fornisce loro l’Iran. Hamas, come Hezbollah, agisce come un distaccamento mercenario per gli ayatollah. La terza lezione è la dimostrazione pratica che le manifestazioni del venerdì sono totalmente controllate da Hamas e fanno perte del suo arsenale, come i razzi e il terrorismo “popolare” in Israele. La quarta lezione è che Abbas e la sua Autorità Palestinese non hanno alcun controllo su Gaza; chi ha qualche influenza sulla situazione della striscia è l’Egitto, che vi agisce in accordo con Israele e al contrario il Qatar, in proprio e come strumento dell’Iran.