Se ne è
andata l’altro ieri a 81 anni Rosetta Stame, presidente dell’Associazione
Italiana dei martiri caduti per la libertà – l’Anfim. Era una donna minuta,
dall’aspetto sempre curato e con l’animo di una vera combattente. Era figlia
del tenore Nicola Ugo Stame, imprigionato come antifascista nel carcere romano
delle SS a Via Tasso, fucilato insieme ad altri 334 uomini e ragazzi alle Fosse
Ardeatine. Riccardo Pacifici, ex presidente della comunità ebraica di Roma, la
ricorda con calore ed emozione: “Ho avuto modo di conoscerla per la prima volta
quando ho seguito il primo e il secondo processo al boia della Fosse Ardeatine”.
Riccardo Pacifici non pronuncia il nome di Erich Priebke: “il suo nome – dice –
deve essere destinato all’oblio”.
Fu lui, il
capitano Priebke, insieme al tenente colonnello Herbert Kappler, ad ordinare la
rappresaglia dopo l’attentato a via Rasella in cui la Resistenza colpì il
battaglione Bozen provocando morti e feriti tra i militari. Poi venne la
rappresaglia: 335 rastrellati per le carceri e per le vie della città. Di essi
75 furono ebrei. La vicenda giudiziaria di Priebke in Italia fu complessa e
durò a lungo: per ben due volte Rosetta Stame, tra il 1996 e il 1997, dovette
testimoniare contro di lui. “In quella occasione – ricorda ancora Pacifici –
Rosetta insieme ad altri testimoni dell’accusa, molti dei quali non sono più
con noi, hanno avuto un ruolo determinate per giungere alla condanna”. Insieme
a Rosetta Stame anche Giulia Spizzichino che andò fino in Argentina per poter
giungere all’estradizione che consentì di processare Priebke in Italia. La sua
storia è stata drammatica: 26 parenti, adulti e piccini, furono uccisi tra la
strage delle Ardeatine e i campi di sterminio nazisti. Le pietre di inciampo
dedicate alla sua famiglia sono quelle vandalizzate al quartiere Monti nei mesi
scorsi e ripristinate il 27 gennaio. Al processo testimoniò anche Elvira
Paladini, antifascista e vedova di Arrigo, partigiano torturato a Via Tasso.
Dopo la morte del marito nel 1991 gli è succeduta alla guida del Museo della
Liberazione e vi ha condotto per anni migliaia di studenti. Donne forti che
hanno fatto della memoria un impegno per la libertà. “Ognuna di loro – prosegue
Pacifici – fu determinante nella ricostruzione precisa degli eventi e portare
alla condanna e all’ergastolo il boia delle Ardeatine. Rosetta però mi colpì
per due aspetti completamente diversi: era una signora già in là con gli anni,
attenta alla pettinatura e al vestire, una donna minuta e curata. Ma mi colpì
molto il racconto dell’ultima volta che ebbe modo di vedere il padre, mi
vengono ancora i brividi. Il racconto è semplice e struggente: sé stessa
bambina che entrava nel carcere di Regina Coeli a visitare il padre detenuto.
Lei ricordava benissimo il momento in cui il padre la prese in braccio, la
guardò e le fece una piccola lezione che lei ha ovviamente tenuto a cuore per
tutta la vita: doveva ricordarsi sempre come fosse importante combattere per la
libertà e non mollare mai. D’altro canto Stame era in carcere non perché tenore
ma perché lavorava con la Resistenza. Potrebbe sembrare un semplice racconto ma
la cosa che mi colpì di più fu il modo in cui lo disse: aveva lo sguardo fisso,
non guardava nessuno, non voleva farsi distrarre da nulla. Ma la voce e la
gestualità erano quelle della bambina che era allora e che stava raccontando.
All’improvviso quella signora era diventata nella mimica, nello sguardo e nel
tono della voce una bambina. E la stessa cosa accadde in occasione della
seconda deposizione. Mi fece una tenerezza incredibile. Eppure era una vera
combattente. E lo dimostrò la notte del primo agosto del 1996 quando si rischiò
che il boia della Ardeatine venisse scarcerato”.
Nel primo
processo la caduta delle aggravanti fece giudicare il reato prescritto “insieme
a noi della Comunità ebraica e alle vittime dei famigliari delle Ardeatine a
urlare la rabbia e lo scandalo c’era anche lei. Con la forza e la tenacia che
l’hanno accompagnata per tutta la vita. Era una combattente, una combattente
vera”.
Rosetta Stame
assunse la guida dell’Anfim dopo la morte di Giovanni Gigliozzi nel 20017. Da
allora è stata la sua voce determinata a leggere ogni 24 marzo alle Fosse
Ardeatine i nomi delle 335 vittime. Con la stessa fermezza e cortesia
incontrava il Presidente della Repubblica e le scolaresche. “L’affetto e la
stima reciproca – ricorda ancora Pacifici – sono nate quella notte in tribunale
quando impedimmo fisicamente al boia di uscire dal tribunale e scappare. La
fuga era già pronta. Noi eravamo dentro con i famigliari e fuori quelli dei
centri sociali. Da allora quando c’era la necessità di fare memoria o di
mobilitarsi Rosetta c’era sempre. Eravamo in assoluta sintonia e ci capivamo
con uno sguardo”. Dopo quella notte del 1996 Erich Priebke venne processato una
seconda volta e poi ci furono gli appelli. Rosetta venne addirittura querelata
da Priebke e costretta ad un risarcimento. Ma poco conta rispetto a quella
bambina che lottava per la libertà e alla condanna all’ergastolo di Priebke.
Anche il
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella la ricorda con commozione:
“Figlia del tenore Nicola Ugo Stame, partigiano trucidato con le altre 334
vittime – riporta una nota del Quirinale – ha difeso per
decenni, con coraggio e determinazione, la memoria dei martiri e quella di
tutti i caduti per la libertà. Ai suoi familiari e ai membri dell’Anfim esprimo
sentimenti di cordoglio e solidarietà, con riconoscenza per l’opera
infaticabile da lei svolta”. Anche per la sindaca Raggi Rosetta Stame “ha
dedicato la sua vita a ricordare la tragedia delle Fosse Ardeatine”, e il
presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ricorda che “ha sempre lottato
con passione e tenacia per raccontare la verità”.