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    L’INVOLUZIONE DELLA SPECIE

    Alcuni fra
    gli ormai famosi (oppure famigerati) gilet gialli francesi si sono prodotti
    l’altro ieri a Parigi in un’aggressione verbale antisemita al filosofo Alain Finkielkraut.
    Il più esagitato gli urlava che non era francese. Un déjà vu dell’odio
    antiebraico transalpino, abbastanza assurdo, se si pensa, per dire, all’autore
    della Recherche, Marcel Proust o all’ultimo Premio Nobel francese per la
    letteratura, Patrick Modiano, di padre ebreo. Il quale Proust, però, benché
    appartenesse all’infinita genia degli ebrei antisemiti, non era giudicato
    abbastanza francese da un antisemita patentato come Louis-Ferdinand Céline.

    Perché il
    problema abbastanza nevrotico della purezza talvolta si affaccia in terra
    gallica e non è difficile pensare che se gli ebrei francesi non fossero così
    francesi e – condizione da non sottovalutare mai – se fossero meno capaci, il
    problema dell’odio non si porrebbe. E non si tratta di una questione di
    orgoglio nazionale portato all’esasperazione, quando buona parte dei razzisti
    si rivela nostalgica dell’occupazione tedesca, una vicenda che difficilmente fa
    bene all’amor di patria.

    Non sarebbe
    intelligente da parte nostra mettere giudizio o gridare allo scandalo, perché
    se il razzismo sembrerebbe non essere più un disvalore, le accuse potrebbero
    essere considerate dai destinatari a stregua di lodi per le quali ringraziare
    di cuore. Le pattuglie, anche domestiche, di indignati perpetui, non servono a
    niente, anzi, sono controproducenti, laddove il richiamo alla ragione e
    all’intelligenza passassero in secondo piano. Anche noi siamo, però, dei
    colpevoli, in quanto abbiamo lasciato che la didattica scadesse e che i docenti
    si proletarizzassero.

    Gli Stati
    Uniti, ad esempio, sono stati grandi grazie al melting pot che portò
    loro delle eccellenze assolute (tra cui Albert Einstein o Enrico Fermi). Il
    declino dell’intelligenza, se distrugge le minoranze, non fa bene nemmeno
    all’aggressore. Se facessimo scegliere al razzista l’accusa che più gli
    dispiace, quella che riguardasse l’intelligenza ed il suo contrario non sarebbe
    né menzognera né agli ultimi posti. Accusa probabilmente fondata, visto che
    tanti preferiscono di stare peggio pur di nuocere al prossimo.

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