La conferenza di Varsavia, che si è svolta qualche giorno fa è stata un po’ snobbata dai giornali italiani, ma va considerata un momento storico, la vera realizzazione dell’amministrazione Trump. In sostanza una dozzina di paesi si sono riuniti per affermare in forma solenne, al di là delle intese informali e non coordinate che esistevano da qualche tempo, che il vero pericolo per la pace in quell’area centrale del mondo che va dall’India al Marocco, coprendo l’Asia centrale e Occidentale, il Medio Oriente, l’Africa settentrionale e il Mediterraneo, non sono più l’Isis o i talebani, movimenti terroristi che sono stati sconfitti, anche se inevitabilmente non del tutto annientati, dalla guerra al terrorismo che l’America ha intrapreso dopo le Twin Towers, ma l’Iran e i suoi satelliti. Inoltre hanno stabilito forme di coordinamento politico e nella scelta di tagliare le unghie all’Iran per via economica. Questo nuovo schieramento è trasversale a vecchi blocchi: con l’America c’è Israele, i principali paesi sunniti (salvo gli estremisti Turchia, Qatar, Algeria e i palestinisti, come sempre bravissimi a schierarsi dalla parte sbagliata), gli europei orientali e in qualche modo anche l’Italia. C’è stato imbarazzo da parte di qualche paese arabo come lo Yemen a trovarsi seduto accanto a Netanyahu, ma al di là della forma proprio questo era il senso della conferenza. Ed è Netanyahu che per primo, già dai tempi di Obama, con enorme coraggio ha promosso questa politica. Lo schieramento non è un matrimonio d’amore, è chiaro: né gli arabi possono di colpo amare Israele, né Israele approva le loro autocrazie. Ma l’interesse c’è, è comune ed è vitale per l’Arabia e l’Egitto come per Israele. Dall’altra parte, nello schieramento opposto, oltre all’Iran e ai suoi sodali e clienti, stanno la Cina, la Russia – e l’Unione Europea, almeno finché dura la sua disgraziata dirigenza attuale. Anche di questo bisognerà ricordarsi alle prossime elezioni europee.