Ci sono storie meritevoli di essere raccontate. Storie di uomini che hanno combattuto per la vita degli altri uomini; persone che hanno creduto così ardentemente nei propri ideali da rischiare tutto per preservarli: vita, carriera, reputazione.
Uno di questi è Luca Pietromarchi, protagonista del libro di Gianluca Falanga “Storia di un diplomatico”, presentato alla Casina dei Vallati alla presenza, oltre che dello stesso autore, di un cospicuo pubblico di parenti e appassionati, tra cui l’omonimo e nipote Luca Pietromarchi, Magnifico Rettore dell’Università Roma Tre.
Ad introdurre l’evento, i saluti istituzionali del Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello e del Presidente della Fondazione Museo della Shoah – ospitante l’evento – Mario Venezia. Poi gli interventi dei Docenti di Storia Contemporanea e Letteratura e Giornalismo alla Sapienza Umberto Gentiloni e Mirella Serri, che hanno analizzato il libro, leggendone dei passi e descrivendo le loro personali impressioni.
Gran parte dell’opera è una rielaborazione di carte storicamente accertate e memorie personali, volta a ricostruire la vita politica dell’Ambasciatore Pietromarchi, protagonista della politica estera italiana durante il Ventennio. Capo dello strategico ufficio Spagna durante la guerra civile e dell’Ufficio Guerra economica allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, é stato anche Direttore del Gabinetto Armistizio e pace, e in quanto tale, fra i principali funzionari responsabili della politica di occupazione italiana dei Balcani.
Nel 1945 é stato epurato, dal momento che la sua lunga carriera suggeriva conformismo e zelante servizio al Fascismo. Tuttavia, attingendo a documenti e diari inediti conservati presso la Fondazione Einaudi, viene gettata nuova luce sull’immagine dell’uomo di regime, rivelando che Pietromarchi aveva ispirato e guidato la “Congiura Diplomatica”, che ha impedito la consegna di migliaia di ebrei Jugoslavi e nell’estate del ’43 aveva preparato le trattative segrete per l’abbandono dell’Asse.
L’autore Gianluca Falanga parla di una storia difficile da raccontare, perché entra nella sensibilità e nell’interiorità, raccontando di un uomo che, pur compiendo queste azioni straordinarie, nello stesso momento lavorava al servizio della macchina Fascista. Riscattare sé stesso pur rimanendo fedele a sé stesso, da qui si comprende la grande difficoltà.
Il termine spesso utilizzato é “insabbiare”: necessario farlo, mischiare le carte, utilizzare quanto possibile il proprio potere, pur di salvare vite. Ciò che stupisce del protagonista di questa storia è l’assoluta riservatezza con cui affronta i meriti delle proprie azioni, qualità fieramente rivendicate dai propri discendenti.
“Mio nonno dibatteva molto di impegno civile e di politica, ma non parlava mai di questa storia – racconta il nipote Giulio Pietromarchi – Io ne sono venuto a conoscenza tramite i racconti di mio padre o attraverso la visione di documentari. Questa modestia per me è un valore aggiunto, perché è stata capace di trasmettermi l’importanza del fare, più che del dire.”