“Noi, bambine ad Auschwitz” è firmato Andra e Tatiana Bucci
ed esce in Italia grazie a Mondadori. È il racconto personale di due sorelle
bambine, di cui scopriamo le origini, il retroterra familiare e gli incontri
avvenuti durante la permanenza ad Auschwitz. È un libro dedicato a chi ce l’ha
fatta e a chi no, ai bambini come Sergio, vittime di un male tutto umano cui si
stenta a dare nome. È un racconto sull’incomprensione: perché noi siamo ancora
qui e loro no? Perché la blockova si era affezionata a noi e non a loro? Perché
i bambini usati come cavie da esperimenti e poi appesi ai ganci come carne da
macello?
Per alcune di queste domande le risposte sono state trovate,
per altre non ancora.
Arriva il 27 gennaio del 1945, di fronte ad Andra e Tatiana
si fermano alcuni soldati che indossano divise a loro estranee. Sorridono. Uno
di loro ha una tavoletta di legno sulle ginocchia sopra cui sta tagliando del salame.
Le guarda, e glielo offre. Questo è il sapore della liberazione.
Poi il viaggio in treno verso Praga nella primavera del 1945,
lì un orfanotrofio enorme le aspetta dove nessuno si cura di loro. Il tempo
passa e la primavera del ’46 arriva. Le due sorelle viaggiano verso Lingfield,
Inghilterra, e si riappropriano dell’infanzia.
È alla memoria nelle sue declinazioni più varie che questo
libro si appella: al singolo che la Shoah l’ha studiata nei libri di storia, al
nipote che ha la fortuna di conoscere il nonno sopravvissuto e alle
istituzioni, cui spetta il difficile compito di sensibilizzare. Non credo
inoltre che solo coloro che dimenticano il proprio passato siano condannati a
riviverlo, ma anche coloro che a quel passato si interessano di sfuggita,
privandolo dell’attenzione che meriterebbe.