La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha
condannato mons. Richard Williamson, ex membro della Società sacerdotale San
Pio X (lefebvriani), per aver negato l’esistenza delle camere a gas e dei forni
crematori nei lager nazisti. Il tribunale del Consiglio d’Europa ha respinto
all’unanimità un ricorso del prelato contro una condanna che gli era stata inflitta
dalla giustizia tedesca. Mons. Williamson, nel frattempo fuoriuscito dal gruppo
integralista a sua volta fuoriuscito dalla Chiesa cattolica dopo il Concilio
vaticano II (scisma), a novembre 2018, quando ne era ancora membro, mise in
dubbio, in una intervista concessa alla televisione svedese Svt-1 e realizzata
nella casa lefebvriana di Zaitkofen in Germania, l’esistenza delle camere a
gas. Un’affermazione che ebbe risonanza mondiale poiché nel gennaio successivo,
l’allora Papa Benedetto XVI cancellò la scomunica a Williamson e agli altri tre
vescovi ordinati in passato da mons. Marcel Lefebvre in segno di distensione
con i lefebvriani. Il Vaticano, colto di sorpresa, dovette prendere le distanze
dal vescovo negazionista appena reintegrato in seno alla Chiesa.
A ottobre del 2009 il tribunale del distretto di Ratisbona
considerando Williamson colpevole di incitamento all’odio gli inflisse
un’ordinanza penale e una multa di 12mila euro. Sentenza annullata dalla corte
d’appello di Norimberga per vizi di forma. A ottobre 2012, su richiesta del
procuratore, il tribunale di Ratisbona emise una nuova ordinanza penale e una
multa questa volta di 1800 euro. Sentenza in questo caso confermata dal tribunale
regionale al quale Williamson si era rivolto in appello. Il vescovo ricorse
anche contro la sentenza di secondo grado senza successo. Anche la richiesta di
un ricorso alla Corte costituzionale federale tedesca fu rigettata a marzo del
2017. Mons. Williamson ha allora fatto ricorso alla Corte europea dei diritti
dell’uomo, ad agosto di quell’anno, sostenendo che la condanna penale violava
la sua libertà di espressione, ed affermando, in particolare, che non si poteva
applicare al suo caso il diritto tedesco poiché il reato che gli veniva
contestato non era stato commesso in Germania ma in Svezia, paese al quale la
trasmissione televisiva era destinato e dove non vigono norme che sanzionano il
negazionismo della Shoah. Williamson ha sostenuto di non aver mai voluto che le
sue dichiarazioni venissero trasmesse in Germania e di avere anzi fatto il
possibile per evitarlo. La Corte di Strasburgo, però, ha rigettato questi
argomenti “per manifesta mancanza di fondamento”.
Il tribunale regionale tedesco aveva stabilito che negare e
minimizzare il genocidio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale
denigrava la dignità delle vittime e minacciava anche la pace pubblica in
Germania e la Corte dei diritti dell’uomo “non vede alcuna ragione di non
sottoscrivere tale considerazione”, sottolineando inoltre che
“Williamson non ha preso le distanze dalle sue dichiarazioni e non ha
detto che i giudici tedeschi non lo avevano capito”. La Corte “ne
deduce che egli intendeva utilizzare il suo diritto alla libertà d’espressione
con fine di promuovere idee contrarie alla lettera e allo spirito della Convenzione”
dei diritti dell’uomo. In secondo luogo, il tribunale regionale tedesco aveva
ritenuto che le dichiarazioni di Williamson, per destinate ad una tv svedese,
potevano risuonare in tutto il mondo e in particolare in Germania, tenuto conto
sia della storia del paese che del fatto che all’epoca il Papa era tedesco.
Williamson, ancora, non aveva preso alcuna misura affinché la trasmissione non
venisse trasmessa fuori dalla Svezia ma era anzi consapevole che sarebbe stato
possibile trasmetterla in Germania. La Corte di Strasburgo “non vede
ragione di non condividere questa valutazione” e ricorda che “gli
Stati che hanno conosciuto gli orrori nazisti hanno, data la loro esperienza e
il loro ruolo nella storia, la responsabilità morale particolare di prendere le
distanze dalle atrocità di massa compiute dai nazisti”. La Corte, infine,
rileva che l’ammenda comminata a Williamson era “molto clemente” e
che i giudici tedeschi non hanno dunque “oltrepassato il loro margine di
valutazione”, ma hanno stabilito una sanzione “proporzionata
all’obiettivo prefissato” e “necessaria in una società
democratica”.