La Giornata della
Memoria è stata istituita da noi con una legge del 2000, ossia, a 55 anni di
distanza dalla fine del secondo conflitto mondiale. Quindi, ci è voluto più di
mezzo secolo perché fosse emanata una legge per ricordare la Shoà. Tutti gli
storici concordano, inoltre, nell’asserire che per almeno quindici anni dopo la
fine del cennato conflitto, ossia, fino agli anni sessanta, si stentava a
parlare di Shoà e molti libri sull’argomento faticavano a trovare un editore. È
successo con Raul Hilberg (La distruzione degli ebrei d’Europa) ed è successo
in Italia con Primo Levi (Se questo è un uomo), sulle cui vicissitudini nei
media si sorvola troppo spesso: torneremo sull’argomento.
Dagli anni ottanta/novanta,
con una lunga rincorsa apertasi con la cattura di Adolf Eichmann (1961) e con
diversi film (il primo, forse, è Notte e nebbia, di Alain Resnais, del 1955) si
inizia a prenderne coscienza.
Dopodiché
l’attenzione si accende, ed il problema consiste in ciò che l’argomento è così
rovente da prendere fuoco e, come capita per ogni fiamma, da affievolirsi,
segnatamente nel significato, sostituito, come appunta Georges Bensoussan, dal
mero evento, oggi così diffuso.
Siccome
tutti, in qualche modo, partecipano al Giorno della Memoria, accade che anche
gli antipatizzanti istituzionali lo celebrino, chiamando prima qualche ebreo
originale assai e poi, tanto per fare le cose davvero per bene, senza
disturbarsi di chiamare nessuno. Da ultimo, sostituendo l’ebreo mancante con
qualche mediorientale non ebreo. A me ciò non piace, ma a Eugene Ionesco e a
Franz Kafka la cosa avrebbe incuriosito.
In tutto
questo convulso panorama, vi è un convitato di pietra, costituito dal rispetto
per le vittime e per i loro congiunti. La commemorazione della peggior
tragedia, ossia il peggior crimine che l’umanità abbia commesso, finisce per
dirazzare. Forse bisognerebbe fare come per il ricordo dell’uscita dall’Egitto,
e commemorarlo in casa, finché gli eventi (che brutta parola!) non siano
corredati da un invito alla ragione. Non sarà facile, ma nemmeno impossibile:
basterebbe volerlo.