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    I libri del lunedì. Gli ebrei nell’Italia fascista

    “Adesso il fascismo sta
    regalandoci anche quell’altra schifosa piaga, di cui finora era gloria d’Italia
    essere stata immune: l’antisemitismo”. Così si esprimeva il giornale pubblicato
    nel 1928 in Francia dall’esule socialista ebreo Claudio Treves. Gli ebrei negli
    anni precedenti al fascismo – e per buona parte del ventennio – erano
    profondamente integrati nel tessuto politico e sociale, dato avvalorato
    dall’adesione degli stessi a quasi tutti i partiti politici, dalla migrazione
    verso i maggiori centri urbani quali funzionari e lavoratori statali e dalla
    ristrutturazione dell’assetto giuridico dei propri enti, simbolo del loro
    riconoscimento nella “nuova” Italia. Un’integrazione, questa, che ebbe dei
    risvolti inaspettati e spesso contraddittori durante il regime, connotato da
    ideologie e posizioni ambigue non solo nei loro confronti ma anche di quelli
    delle popolazioni dell’Aoi (Africa orientale Italiana). La negazione dei
    diritti, dell’uguaglianza e dell’esistenza, raccontate da Michele Sarfatti,
    sono i nuclei intorno a cui ruota la complessa storia degli ebrei italiani
    negli anni che vanno dall’avvento del fascismo alla sua sconfitta e che, pur
    essendo assurta a prototipo della persecuzione di tutte le minoranze, presenta
    delle peculiarità che non possono essere trascurate. “Gli ebrei nell’Italia
    fascista, vicende, identità e persecuzioni” si presenta come l’edizione
    definitiva del volume già uscito con Einaudi prima nel 2000 e poi nel 2007 e si
    fa carico di numerose questioni: prima tra tutte del tentativo di fornire al
    lettore i mezzi per comprendere chi erano gli ebrei di quegli anni, che,
    similmente ai non ebrei, si configuravano come fascisti, antifascisti e
    “a-fascisti”, e poi di riportare la voce delle vittime. Un libro, dunque, da
    cui è necessario partire se si vuole comprendere la storia del Ventennio e
    dell’Italia che gli fece da sfondo.

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