L’angoscia
dello spaesamento, la paura dell’ignoto, il senso di una fine che è già finita
eppure, allo stesso tempo, non termina di finire. E l’amore. L’amore del capostazione
di provincia Fallmerayer, che non ha mai lasciato gli stretti confini del
proprio minuscolo paese nell’Austria meridionale, per la contessa russa
Walewska. L’amore del mercante di coralli, l’ebreo dai capelli rossi Nissen
Piczenik, che non ha mai visto il mare, per quegli oggetti colorati e vivi,
ciascuno diverso da ogni altro, che provengono dalle profondità degli abissi e
sono sorvegliati dal grande Leviatano. L’amore del conte Franz Xaver Morstin
per la patria e l’imperatore, che non abbandona neanche dopo la morte del
secondo e il naufragio della prima sotto l’avanzata del nazionalismo – l’anello
che congiunge l’umanità alla bestialità secondo il poeta tragico Grillparzer –
e della barbarie sui laghi Masuri, a Verdun e sull’Isonzo. L’amore della
fragile Fini, che lavora come segretaria a Vienna presso lo studio di un
avvocato che la terrorizza, per uomini che compaiono e scompaiono in un valzer
popolare, senza bisogno di spiegazioni, sullo sfondo di un Prater notturno,
mentre si avverte il ronzio sordo della Grande guerra vicina e lontana che
irrigidisce in una morsa di ghiaccio il centro dell’impero. Di amori che
vincono la ragione e sfidano la storia è disseminata la raccolta di racconti di
Joseph Roth “Il mercante di coralli”, ripubblicata dopo anni da Adelphi. Una
fuga senza fine nel segno della speranza e della disillusione per i piccoli
personaggi dei grandi racconti dello scrittore galiziano, una serie di figure
che non hanno saputo, o non hanno voluto, adeguarsi meschinamente a quello che
viene talvolta definito, non senza inconsapevole ironia, lo spirito dei tempi
e, forse per questo, continuano ostinate ad amare.