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    I libri del lunedì. La tragica condizione degli ebrei nei paesi arabi

     

    di Emanuele Calò

    Parafrasando Lev Tolstoj, nell’incipit di Anna Karenina,
    potremmo avventurarci a dire che se l’antisemitismo si è sovente manifestato in
    diversi paraggi e latitudini, ciascuno poi odia a modo proprio, se non altro
    per non essere accusato di plagio. Per dire che il sottotitolo (L’argomento
    proibito) varrà per alcuni ma non è vero per tanti altri, e ciò neanche se la
    denominazione del pregiudizio indossa una diversa etichetta. Non a caso, poi,
    abbiamo scritto “alcuni”, perché la generalizzazione costituisce, a sua volta,
    uno dei tanti congegni assunti, nel suo laido volto, dal razzismo.

    L’autore, Georges Bensoussan, ha scritto diversi saggi, che
    comprendono le principali problematiche dell’ebraismo moderno. L’opera in
    commento cita, all’inizio, un passo di George Orwell: “se la libertà significa
    qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi
    dire”, laddove il messaggio inviso dovrebbe riguardare non la retorica bensì
    l’impossibile ma tuttavia commendevole compito di narrare i fatti, col
    conseguente risparmio di prediche e, segnatamente, di aggettivi.

    La tesi su cui è imperniata l’opera è che il mondo arabo sia
    stato, per gli ebrei, una terra di dhimma, nell’accezione rappresentata dalla
    sottomissione non gratuita, la quale volse verso la fine quando l’illuminismo e
    l’istruzione portarono gli ebrei ad emanciparsi, provocando il rigetto della
    popolazione.

    Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera) ebbe a
    commentare l’edizione originale in francese, asserendo che “le pagine del libro
    forniscono a questo proposito una vasta documentazione circa il miserabile
    stato di inferiorità, di forzata ignoranza, in cui per secoli nel mondo
    islamico gli ebrei furono costretti, in virtù di un pregiudizio religioso
    antigiudaico ben più vasto e pervasivo di quello diffuso nel mondo cristiano.
    Per essere tollerati gli ebrei erano costretti, oltre che a pagare una tassa
    speciale, ad accettare una condizione di paria, ad esempio subendo
    quotidianamente da parte di chiunque (anche di un bambino islamico incontrato
    per strada) una serie di angherie, di violenze e di oltraggi mortificanti senza
    potersi permettere, pena la vita, il minimo gesto di reazione”.

    Scrive Bensoussan che “la storia degli ebrei del mondo arabo
    è stata a lungo loro confiscata. Il più delle volte è stata scritta dagli ebrei
    di corte ed è per questo che solo recentemente si è emancipata dalla visione
    irenica di un tempo”(p. 61). Beninteso, tutto è opinabile e, quindi, aperto
    all’espressione di diverse ipotesi. Per contro, non appare opinabile lo
    svuotamento di ebrei dal mondo arabo, difficile da spiegare col solo fascino
    d’Israele, perché la gran parte della Diaspora non è parsa altrettanto ammaliata.
    Possiamo pure scendere nelle viscere della storia, lasciando che si sprigioni
    la nostalgia, purché si consideri che l’amore per definizione – quello di Romeo
    e Giulietta – non finì perché unilaterale ma per un’asimmetria informativa.

    Scorrendo le pagine del volume, si trova una confutazione
    delle nostre credenze sui momenti migliori del rapporto fra ebraismo e mondo
    arabo, senza lasciare margini di consolazione e facendo cadere uno ad uno gli
    appigli che fino ad oggi consentivano di rinvenire nel passato una speranza per
    il difficile momento che viviamo. Naturalmente, il dibattito rimarrà aperto, ma
    le informazioni copiose dell’autore dovranno trovare una replica altrettanto
    affidabile.

    Bensoussan infierisce su di noi chiudendoci l’ultimo
    pertugio rimasto, quello del passato, laddove ci svela nel corredo di
    duecentosettanta note la tragicità della condizione ebraica, dove la sicurezza
    non è una costante ma un intervallo. Così facendo, finisce per toglierci, fino
    a prova contraria, la consolazione di un paradiso perduto. L’aveva già
    praticato Isaiah Berlin, mentre Bensoussan lo fa a suo modo, però le loro
    narrazioni, pur diverse, sembrano sfociare in una strada senza uscite.

    Come nascono i miti? Forse per rimuovere il peso eccessivo
    dell’esistenza? Se lasciassimo la risposta agli psicoanalisti, a noi cosa
    rimarrebbe? Non poco: per l’intanto ci rimarrebbero i resoconti e le opinioni
    dei cantastorie, sceicchi bianchi di ritorno, che si sono cimentati
    nell’evocazione di un paradiso da mille e una notte, arricchito da esotiche
    risalenti convivenze. “Fu vera gloria?” si domandava il Manzoni a proposito di
    Napoleone. In questo caso, sembrerebbe proprio di no.

     

    Georges Bensoussan, Gli ebrei del mondo arabo – L’argomento
    proibito, Giuntina, Firenze, 2018, pp.171, euro 15

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