Qualche giorno fa Facebook ha annunciato la sua intenzione di seguire Twitter nel bandire dai post che pubblica il negazionismo della Shoà. Bella notizia, almeno in apparenza. Molti nel mondo ebraico hanno apprezzato questa scelta, condannando solo il fatto che essa sia stata presa tardi e con molte resistenze: soprattutto in Italia dove si è combattuta una lunga battaglia parlamentare per la condanna legale del negazionismo. Io però ho dei dubbi. Basta cercare un po’ sui social e si vede benissimo che il rifiuto del negazionismo non impedisce affatto la pubblicazione di post antisemiti e anti-israeliani, vere e proprie istigazioni al terrorismo e all’omicidio degli ebrei, soprattutto ma non solo se cittadini dello stato di Israele. In sostanza, Facebook e Twitter si riservano la decisione privata, oscura, inappellabile all’esterno di ciò che “viola gli standard della comunità”. Questa giurisprudenza privata è restrittiva rispetto alla Shoà, ma è estensiva rispetto ad altri temi. Per esempio nei giorni scorsi Twitter ha cancellato tutti i post che rimandavano a un articolo di un importante giornale di New York che riportava testi di telefonate del figlio di Biden da cui si ricavava che il padre era stato coinvolto in attività di lobbing a favore di ditte ucraine e cinesi, cosa che il candidato democratico ha sempre negato. Addirittura Twitter ha scritto che i link a questo articolo e altri simili potevano essere “pericolosi”, come fossero virus e ha chiuso gli account dell’addetta stampa di Trump, della sua centrale elettorale e addirittura della commissione giustizia del Senato che avevano osato pubblicare i link. Facebook più subdolamente ne ha “rallentato la circolazione”, cioè ha introdotto nel suo segretissimo algoritmo qualche clausola per farlo sparire dalle bacheche. Tutto questo è una palese interferenza elettorale, ma rappresenta una minaccia ancora più vasta, perché mostra che i social possono far sparire qualunque notizia o opinione non piaccia loro. Possono farlo privatamente, senza rispondere a nessuno, perché sono società private. Ma facilmente si mettono d’accordo con le potenze dittatoriali che chiedono loro delle censure. Ora di fatto i social contano più, dal punto di vista informativo, di tutti i giornali e le televisioni messe assieme. Insomma accettare che Facebook e Twitter e le sigle che ne dipendono (Instagram, Whatsapp) non agiscano con la neutralità delle compagnie telefoniche, ma censurino attivamente i contenuti che si giudicano negativi, senza bisogno di tribunali, mette in pericolo la libertà di tutti e in particolare di una minoranza con molti nemici, com’è quella ebraica.