Le elezioni
per la Presidenza in Brasile sono finite. Vince l’estrema destra, il Partito
Social-Liberale. Vince Jair Bolsonaro, con il 55,29%, contro Fernando Haddad
del Partito dei Lavoratori, l’erede legittimo di Lula, che si attesta al
44,71%. Contestualmente alle Presidenziali, sono stati eletti 14 nuovi
governatori, 13 PSL, 1 PL. Una forza festeggia nelle piazze e posta
vittoriosamente sui social, l’altra chiede che i ”suoi 45 milioni di elettori
vengano rispettati”.
C’è da
capire quale sarà la conseguenza nel mondo ebraico brasiliano. Già il periodo
non aiuta: bombardamenti sul suolo israeliano, attentato a Pittsburgh,
aggressione di un ebreo a Parigi e ultimo (ma non ultimo) il Decreto Legge, poi
smentito dal Vice Ministro dell’Economia Laura Castelli dopo accorata lotta
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che avrebbe dovuto prevedere il
taglio da 50 milioni alle pensioni agli ebrei vittime di leggi razziali e ai
perseguitati dal fascismo per motivi politici. A 80 anni dalle Leggi Razziali. Con
la situazione corrente, un Presidente di estrema destra in una nazione così
grande e influente come il Brasile desta sgomento e preoccupazione. Bolsonaro
ha fatto leva, attraverso una capillare campagna di propaganda sui social,
sulla “destra nostalgica” a cui manca la sicurezza dei tempi della dittatura
militare (della quale egli si definisce ammiratore), sulla “destra evangelica”
a cui sono stati promessi diritti sociali e sulla “destra liberale”. Tutto
questo in un contesto dove l’ex Presidente Lula è in carcere, e in Brasile si
sta assistendo ad un gigante fenomeno di crisi economica, criminalità e
corruzione. L’ambiente perfetto per caricarsi il popolo sulle spalle. Bolsonaro
non è stato coinvolto negli scandali di riciclaggio di denaro e non è
definibile come ”corrotto”; ex Capitano dell’Esercito, paracadutista, alle
spalle sette mandati come Deputato Federale. Dunque patriota, pulito e
volenteroso, l’uomo giusto al momento giusto.
Desta
qualche problema, però, il suo pensiero riguardo le minoranze. Sostenuto dalla
destra cristiana evangelica brasiliana, l’11 ottobre Bolsonaro ha firmato un
accordo con un’associazione di elettori cattolici, nel quale ha promesso di
“difendere il vero senso del matrimonio come unione tra uomo e donna” e di
“combattere l’ideologia gender”, a partire dai programmi scolastici. Sono
messaggi chiari, da parte di un conservatore che, oltre a non nascondere il suo
disprezzo per il genere femminile, non ha mancato di paragonare l’omosessualità
alla pedofilia. Questo può presto trasformarsi in iniziative legislative contro
i finanziamenti ai programmi antiviolenza per le donne e la comunità LGBTQ.
Famose alcune sue dichiarazioni come quella sugli attivisti per i diritti umani
chiamati ‘’vagabondi’’, o la frase che rivolse alla deputata Maria do Rosario
dicendole ‘’non ti stupro perché sei troppo brutta per meritartelo’’.
Di fronte a
questo personaggio, l’opinione pubblica ebraica si spacca a metà: se da un lato
preoccupano le sue dichiarazioni sulle diversità, dall’altro egli si mostra
difensore dello Stato d’Israele, al contrario dei partiti di sinistra che più
volte hanno dichiarato il loro appoggio alla causa palestinese. ”La Comunità
Ebraica è diversificata, e lavoreremo affinché le nostre differenze politiche
non influenzino la nostra unità” ha dichiarato prima dell’exit poll Fernando
Lottenberg, presidente della Confederazione Israelita del Brasile.
La maggior
parte degli ebrei brasiliani fa parte della classe medio-alta della società, e
la crisi ha ridotto le loro possibilità economiche. Questo ha portato a 700
aliyot (emigrazione in Israele) nel 2017, il numero più alto dal 1948. Per
questa ragione, il tentativo di Bolsonaro di fermare la corruzione, la violenza
nelle strade e i problemi monetari del paese rende quest’ultimo un candidato
ideale. Peraltro, mostrandosi ancora di più dalla parte dello Stato di Israele,
egli ha recentemente dichiarato di voler spostare l’Ambasciata brasiliana da
Tel Aviv a Gerusalemme, promettendo inoltre di chiudere l’Ambasciata
palestinese in Brasilia. ”La Palestina è un paese? La Palestina non è un
paese, e per questo non ci dovrebbe essere un’ambasciata qui. Non si negozia
coi terroristi” ha dichiarato.
Il suo
avversario politico, Haddad, il successore nella politica di Lula, rappresenta
per gli ebrei la continuità di una campagna anti-Israele, testimoniata dai
fatti avvenuti nel 2014, quando durante la guerra che stava avvenendo sulla
striscia di Gaza, il Governo ha convocato l’Ambasciatore israeliano per delle
consultazioni, definendo le azioni compiute dai militari con la Stella di David
”un massacro”. Sotto la Sinistra, nel 2010 la Palestina è stata riconosciuta
come stato indipendente, e sono stati donati ad Hamas 10 milioni di dollari.
”C’è il mito
che dice che essere di Destra è sbagliato perché si viene associati al regime
militare, al Nazismo e al Fascismo. Non è vero – afferma Felipe da Costa, che
ha fondato il Movimento dei Giovani Ebrei a Rio – Israele è un grande esempio.
Lì destra e sinistra lavorano insieme, e questa è una delle ragioni del
successo del Paese.” I gruppi ebraici di Sinistra, invece, accusano Bolsonaro
di razzismo, omofobia e misoginia, tanto da scendere nelle piazze e promuovere
degli hashtags contro di lui. ”Tutto questo è indipendente dal mio pensiero,
parlano i fatti – dice l’attivista ebreo brasiliano Mauro Nadvorny – Bolsonaro
ha lodato Carlos Brilhante Ustra (un noto leader militare del periodo della
dittatura), che ha torturato donne davanti ai loro bambini. Gli ebrei non
possono dire di non saperlo!”. Nadvorny ha fondato il gruppo Facebook ”Judeus
contra Bolsonaro”, che ha 8000 membri. ”Molti ebrei durante la dittatura
brasiliana sono stati torturati non solo per essere di Sinistra, ma anche
perché semplicemente ebrei – continua Nadvorny – Quando Hitler ha scritto il
Mein Kampf non ha detto che avrebbe ucciso 6 milioni di ebrei, e tanti di loro
lo hanno votato per avere una Germania migliore!”.
Nel 2017,
tre ebrei di Sinistra appartenenti ai movimenti giovanili brasiliani hanno
boicottato pubblicamente un importantissimo Festival di musica israeliana per
protestare contro la presenza di Bolsonaro in un importante centro culturale
ebraico, evento avvenuto all’inizio di quell’anno.
Ora il
Brasile ha un nuovo Presidente, una nuova linea politica e tanti problemi da
risolvere. Di certo lo Stato d’Israele può vantare un nuovo alleato. Resta
soltanto da stabilire quanto ne varrà la pena.