“Voglio dedicarmi subito all’impatto della scienza sulle idee
umane in altri campi (…) parlerò della natura della scienza, soffermandomi in
particolare sulla funzione del dubbio e dell’incertezza, mi dedicherò ai
rapporti tra scienza e politica e tra scienza e religione”,
“Il senso delle cose”, (Adelphi), trascrizione di un ciclo di
tre conferenze tenute nel 1965 dal fisico premio Nobel Richard Feynman –
americano di origine ashkenazita – risulta più leggibile e divulgativo di altri
suoi libri (“Sei pezzi facili”, “Sei pezzi meno facili”). È un libro che
soddisfa curiosità diverse e che si appella a un pubblico variegato. Risponde a
chiunque si interessi di scienza e dei suoi metodi, del concetto di dubbio,
della differenza tra possibilità e probabilità. Cosa intendiamo quando diciamo
scienza? Qual è la differenza tra questa e la tecnologia? Perché è più
corretto, quando si fa riferimento alla Russia sovietica, parlare di
avanzamento della tecnologia e non della scienza? A questo e ad altri quesiti
l’autore tenta di rispondere, sottolineando l’importanza dell’osservazione come
metodo da unire al ragionamento scientifico. La scienza non distingue tra bene
e male, non fornisce una scala valoriale e non ci dà un libretto d’istruzioni
su come comportarci, sarebbe bello sì, ma poco realistico. Feynman prosegue
criticando alcuni modi di agire dell’essere umano, che lo spingono a diffidare
della scienza e a credere a pseudoscienze di varia natura (astrologia, magia e
complottismi vari). “Il senso delle cose” conta 125 pagine, molto dense, per
nulla complesse e tanto interessanti. Chissà se coloro che credono a dietrologi
e ciarlatani, leggendole, finiranno per ricredersi.