La riunione d’autunno dell’Assemblea Generale dell’Onu è sempre una sfilata di capi di Stato e di governo che nei loro discorsi mettono in scena la loro personalità e soprattutto i loro programmi politici. Il lavoro diplomatico vero si fa a lato, negli incontri bilaterali, ma il discorso pubblico di fronte ai quasi duecento delegati degli altri Stati è un momento centrale per ogni leader. Quest’anno il più atteso era naturalmente Trump, che ha giustamente vantato i suoi successi in politica interna e internazionale, l’economia in boom nonostante le profezie nere degli economisti “progressisti”, il Medio Oriente rivoltato dalla palude in cui l’aveva cacciato Obama. Netanyahu non è mancato nonostante il difficile incastro con la festa di Sukkot e ha fatto un discorso formidabile denunciando il riarmo atomico iraniano e gli insediamenti missilistici in Libano con foto e documenti e argomentando con passione le ragioni di Israele. Contro Trump e Netanyahu non si sono presentati né Merkel né Putin, evidentemente in difficoltà nel difendere le loro politiche, per cui l’alfiere della vecchia politica dell’imperialismo europeo filomusulmano e multilaterale è stato Macron, peraltro precocemente ridimensionato nella platea internazionale come non è più popolare in patria. Chi ha fatto un discorso poverissimo, che pure aveva annunciato come “storico” è stato Mohamed Abbas, presidente dell’autorità palestinese: rancoroso, incapace di svicolarsi dal finanziamento ai terroristi, antiamericano e ovviamente antisraeliano. Come dire: almeno nella sua assemblea generale anche un luogo screditato come l’Onu è qualche volta in grado di rispecchiare la realtà.