di Sarah Tagliacozzo
‘Baghetto carne’ venerdì 4 maggio
era gremito di stranieri di religione ebraica in cerca di un posto accogliente
per poter cenare mangiando kasher in compagnia di altri correligionari di
diverse nazionalità. Fra questi vi era un grande gruppo di svedesi, sorridenti
e rilassati come la maggior parte dei turisti a Roma. “E’ un viaggio che
organizziamo da qualche anno per visitare l’Italia dando priorità alle
attrazioni turistiche ebraiche. Vogliamo conoscere meglio la storia della
comunità ebraica italiana’’, mi spiega una signora.
Si siedono accanto a me due
signore svedesi-polacche. “In Svezia c’è una grande comunità di ebrei provenienti
dalla Polonia” mi racconta Britt, un’allegra signora di Stoccolma,
un’odontoiatra ormai in pensione. “Dopo l’Olocausto molti ebrei polacchi fecero
l’aliah, andarono a vivere in
Israele. In Polonia non avevano più niente: niente famiglia, amici o averi.
Alcuni restarono, ma le condizioni di vita non erano delle migliori soprattutto
a causa del comunismo. Gli ebrei furono licenziati dai lavori statali, ma poiché
con l’avvento del comunismo quasi tutti i lavori erano diventati collegati allo
Stato, di fatto ci stavano dicendo di andarcene via. Restarono in pochi, mentre
furono molti quelli che andarono in Svezia e in altri paesi’’. Shoshanna, una
signora bionda con gli occhi celesti che aveva ascoltato la conversazione sino
a quel momento interrompe Britt: “Io scelsi la Svezia per seguire un ragazzo
che avrei poi sposato. Avevo 23 anni, è stato molto difficile, ma mai quanto
per i più grandi. Noi giovani ci adattavamo facilmente, ma per i nostri
genitori è stato traumatico. Si sentivano polacchi e non erano contenti di
dover lasciare il loro paese. Poi la Polonia ci tolse la cittadinanza e per ben
cinque anni siamo stati apolidi. In Svezia ci diedero un foglio che ci
identificava e che ci consentiva di viaggiare e una volta avuta la cittadinanza
svedese, dopo cinque anni, io e mio marito tentammo di tornare in Polonia per
visitare mia suocera che non era voluta emigrare, ma non ci dettero il permesso.
Per tre volte! Non volevano farci rientrare neanche per andare al cimitero’’.
Negli ultimi anni avevo letto
articoli e sentito amici che parlavano di un crescente antisemitismo in Svezia,
dove gli ebrei sono tra i 18.000 e i 20.000. Parlo con un altro membro del
gruppo, un sociologo, il dott. Jaff Schatz. “Si è vero, c’è antisemitismo”. Mi
racconta che a causa della situazione in Svezia, la comunità è ormai obbligata
ad avere un sistema di sicurezza davanti al tempio e che si tratta di una
novità. L’antisemitismo, come nel resto d’Europa, è nascosto dietro la maschera
dell’antisionismo e si è diffuso in maniera eclatante dopo l’arrivo di
immigrati musulmani e a causa dei neonazisti. La Svezia ha accolto più
rifugiati di guerra di altri paesi europei (soprattutto di nazionalità siriana
e afgana). Il dott. Schatz mi spiega che il partito musulmano e quello di
estrema destra sembrano andare d’accordo, ma che non bisogna generalizzare: il
partito liberale, ad esempio, ha espresso le sue preoccupazioni per l’antisemitismo
e la comunità ebraica, insieme a quella cristiana, cercano di portare avanti il
dialogo interreligioso con la comunità musulmana, ma purtroppo sembra che solo
una parte della comunità musulmana sia disponibile a parlare e questa scelta gli
ha creato problemi con il resto dei musulmani nel paese. Inoltre, durante
alcune manifestazioni per la pace la polizia non è riuscita a proteggere il
corteo ebraico, e i manifestanti con le bandiere di Israele, dal corteo
pro-palestinese che ha provocato scontri superando la barriera di poliziotti.
L’integrazione sociale contribuisce al problema: in Svezia la disoccupazione è
molto bassa a livello nazionale, ma estremamente elevata fra gli immigrati, ci
vorranno due o tre generazioni prima che la situazione si stabilizzi. La Svezia
continua ad essere un ottimo paese dove vivere, ma l’antisemitismo è una vera e
difficile battaglia da combattere, secondo Schatz. La maggioranza del mondo politico
e civile svedese continua ad essere al fianco della comunità ebraica, condannando
gli episodi di intolleranza e di antisemitismo che preoccupa molto i membri
della comunità ebraica. Anche il Presidente degli Stati Uniti d’America Obama
che nel 2013 visitò la sinagoga di Stoccolma alla vigilia di Rosh Hashanà,
disse alla comunità ebraica che ‘bisogna combattere l’antisemitismo e l’odio in
tutte le sue forme e che sceglieremo di riconoscere la bellezza e la dignità
che merita ogni persona e ogni bambino. E sceglieremo di instillare nei cuori
dei nostri bambini la tolleranza e la compassione..’
Britt e Shoshanna comunque non
stanno pensando di lasciare Stoccolma “è la nostra casa, dove dovremmo
andare?”.