“Il dado è tratto: le conseguenze potenzialmente esplosive” scriveva on line il Corriere della Sera del 6 dicembre 2017. Ma erano in pochi a sapere che “The Donald” un tempo era stato proprietario del Trump Taj Mahal Casinò di Atlantic City e durante questa fase imprenditoriale aveva fortemente sostenuto nel 1996 il primo circuito americano per professionisti delle carte da gioco: The US Poker Championship. Sul riconoscimento di Gerusalemme capitale dello Stato ebraico Trump aveva dunque deciso di vedere il bluff dei nemici di Israele. Tre mesi dopo la questione era in archivio perfino nelle stanze vaticane, come pure al Cremlino. Solo qualche corrispondente insiste a dire “Governo di Tel Aviv”. La tempesta mediatica, orchestrata anche dai presunti nuovi amici di Israele nelle capitali sunnite, non ha avuto successo. Più preoccupanti, invece, le proteste recapitate da molti governi al destinatario sbagliato – cioè l’esercito di Israele – per l’inevitabile reazione provocata dai tentativi di Hamas di forzare la barriera che separa Gaza dai kibbutzim sul confine. Come sempre, l’antisionismo militante ha sbandato verso l’antisemitismo esplicito e dichiarato. Il fatto è che i cosiddetti liberal non amano questo presidente, che pure preferisce tweet e dazi doganali: missili e cannoni non gli piacciono molto. Tanto è vero che venne letteralmente “telefonato” agli interessati il bombardamento effettuato nella notte tra il 6 e il 7 aprile 2017 contro alcune strutture militari siriane. Chiaramente non si voleva uccidere, anche se proprio da quelle basi erano partiti gli attacchi chimici su civili inermi.
L’altro bluff planetario che Trump è andato a vedere e scoprire è quello delle reazioni europee al blocco dell’accordo nucleare con Teheran. L’Europa forse non vede e non prende sul serio la promessa quotidianamente in arrivo da Teheran: liquideremo in 20 anni il sionismo realizzato, cioè Israele. Anche in questo caso, fatti due conti, il mondo degli affari ha deciso che è meglio lavorare con Wall Street piuttosto che con Teheran. Poi, almeno per ora, il botto finale: cioè la minaccia degli ayatollah di chiudere il Golfo Persico al passaggio delle petroliere. Certo viene qualche dubbio, anche a chi non ama le dietrologie. Obama evidentemente intendeva specializzare Washington e Bruxelles in lucrosi affari con i dittatori di turno, Trump adesso rivede il gioco e preferisce servirsi dei dollari piuttosto che di esplosivi. La precedente amministrazione aveva letteralmente inflazionato l’uso dei droni da attacco al suolo, anche perché si rischiano ignare vittime collaterali in qualche remoto deserto asiatico, anziché cadaveri di marines da riportare a casa in diretta sul web.
Dwight Eisenhower, un grande presidente repubblicano il quale era stato anche un grande generale nelle campagne del 1944 e 1945 contro le armate hitleriane, diceva che con la guerra di Corea gli USA si erano messi nelle mani del sistema militare-industriale. Intendeva dire che i fabbricanti di armi sono per il metodo “sparategli tutto quello che abbiamo”. Certo, il mondo liberal degli USA è contro la lobby delle armi da fuoco individuali, quelle delle periodiche stragi. Però i liberal rappresentano, senza troppo dissimularli, gli interessi della grande industria meccanica e aerospaziale. Dalla quale Trump ha preso le distanze reintroducendo le sanzioni sull’Iran.