Lord Chandos scrive a Francis Bacon per comunicargli la propria astensione da qualsiasi attività letteraria. Una messa in scena, questa, creata dallo scrittore decadentista Hugo von Hofmannsthal nel 1902 che, al contrario del suo personaggio fittizio, decide di rinunciare a una promettente carriera accademica per dedicarsi alla scrittura e alla poesia.
Esiste forse qualcuno che, come Lord Chandos, è stato colpito da una profonda crisi esistenziale? E perché no, dall’incapacità, o forse impossibilità, di dare forma a questa stessa crisi e di spiegarne le ragioni? “Ein Brief”, in italiano “Lettera di Lord Chandos” è composta da 15 pagine e contiene tante belle cose: non spiega i motivi della crisi ma i suoi effetti e anche un possibile rimedio. Questo breve scritto costituisce un manifesto dell’autoreferenzialità della parola, del fluire indistinto delle cose non più nominabili e dominabili dal linguaggio. Il Lord è disorientato, nessuna parola è per lui in grado di esprimere la realtà fattuale delle cose perché rispetto a loro distante, diversa, approssimativa.
Il mondo non è più qualcosa di ordinato in cui ciascuna cosa ha la propria posizione gerarchica, al contrario è un insieme vivo di essenze che non si lasciano categorizzare facilmente. Come ha scritto Claudio Magris, la sfiducia nel segno e la rivolta contro di esso, tematizzate da Hofmannsthal, avranno fortuna in altri importanti autori: da Canetti a Musil, da Wittgenstein a Bayer che dell’afasia – incapacità di comprendere e comporre un linguaggio – hanno scritto lungamente: segno, questo, che di parole da dire e di concetti da esprimere ne avevano ancora molti.