Negli ultimi anni diversi
designers hanno conferito agli oggetti rituali ebraici nuove forme, ridefinendo
il significato di abitudini secolari e colmando lo iato tra tradizione e
modernità.
Quando Karim Rashid creò una
chanukkià simil ameba per il centenario del Museo ebraico di New York nel 2004,
alcune comunità ebraiche della Grande Mela mostrarono il proprio disappunto.
Dello stesso parere non furono i clienti, che dai colori accesi della chanukkià
rimasero deliziati. Oggi questa chanukkia (nella foto), che sembra un
accessorio da bagno stile Ikea, si può comprare per la modica cifra di 50
dollari su Amazon.
Che tu sia un fan dello stile
di Rashid poco importa, è la questione che deriva da tale gesto che risulta
interessante: sfida la tradizione, ponendosi come alternativa a quel mondo
formulare e ripetitivo degli oggetti rituali. Si ricerca il minimalismo, la
compattezza e la praticità. Di tutto ciò è esempio la mostra temporanea tenuta
all’Israel Museum di Gerusalemme con le opere – siamo sicuri sia il termine
giusto? – di due artisti austriaci, Katharina Mischer e Thomas Traxler, cui è
stato demandata la realizzazione di oggetti da viaggio da utilizzare durante le
festività ebraiche: una chuppah (baldacchino nuziale) portatile, un kit per
preparare le matzot (pane azzimo) e oggetti per l’Havdala (cerimonia che segna
la fine della festa). Non è incoerente né increscioso unire il vecchio al nuovo
mondo, è umano. Ciò che può essere disdicevole è invece l’assenza di bellezza
nel medium utilizzato, ma questa è un’altra storia.
Marta Spizzichino