EBRAICA è giunto alla sua tredicesima edizione e quest’anno parla di felicità. Cosa essa sia e quali siano alcune sue possibili declinazioni sono domande che richiedono risposte articolate.
Quanto pesano le persone che amiamo nel suo raggiungimento? Eshkol Nevo, intervistato da Lorella Cavaricci durante la serata di apertura, non ha dubbi: la felicità è l’intimità romantica condivisa con la persona amata, l’abbraccio degli amici e il tempo trascorso in compagnia delle figlie.
È giusto parlare di una felicità pre e post COVID? Come è cambiata la nostra percezione di essa in quarantena, quando essere tappati in casa significava rinunciare ai sorrisi dei nostri cari? Non è forse vero che la felicità è relazionale e richiede dunque la presenza degli altri per essere raggiunta? Le parole aiutano ad analizzare emozioni e sentimenti, spesso restii ad essere definiti. E allora chi meglio di uno scrittore può mostrarci la via verso un cantuccio sicuro, un rifugio lieto, di cui le parole sono porte e finestre?
Nevo racconta l’essenza del desiderio – della sua soddisfazione e dunque di una qualche forma di felicità -, ci mette in guardia sulle conseguenze che la scelta e la non scelta implicano, ed è attraverso le lettere dell’alfabeto che parla di noi, della letteratura italiana, con Italo Calvino che occupa un posto di riguardo.
Nevo non ha dubbi: essere scrittore implica curiosare, avere coraggio, predare le storie più belle, amare la vita e avere con essa una connessione profonda, immaginifica. Ed è questo che cerca di trasmettere agli studenti che frequentano i suoi corsi di scrittura creativa.
Ai fini della scrittura quale peso ha avuto l’identità ebraica? La risposta va trovata nella rubrica che esce settimanalmente con Vanity fair, là dove ogni lettera introduce una parola che fa da titolo al capitolo. F, G, V e P sono quelle più eloquenti e che più dicono riguardo al proprio retaggio culturale. Se F sta per ferita G sta per Guerra, V per verità storica e P per perdono, la più grande forma di redenzione e coraggio.