La parashà inizia con la mitzvà di nominare dayanìm (giudici) competenti e onesti e continua dicendo: “Non alterare la giustizia, non mostrare favoritismi e non farti corrompere, perché la corruzione accieca gli occhi dei saggi e fuorvia le parole dei giusti. Persegui giustizia, giustizia, affinché tu viva ed erediti la terra che l’Eterno, tuo Dio, ti da”. (Devarìm, 16: 19-20).
Rashì (Troyes, 1040-1105) citando un midràsh, commenta che la parola giustizia ripetuta due volte indica che bisogna rivolgersi a un bet din (tribunale) di superiore competenza, perché la nomina di dayanìm qualificati serve a mantenere in vita Israele e a farli risiedere nella loro terra.
Nessuna società può funzionare senza un sistema legale. Una delle sette leggi dei Noachidi è appunto quella di istituire un sistema legale. Inoltre è possibile che Rashì alluda anche alla mishnà nei Pirkè Avòt (Massime dei padri, 5:8) dove è scritto che vi sono sette disgrazie che capitano per altrettante trasgressioni. Una di queste è la guerra: “La spada viene nel mondo per il ritardo della giustizia, per la perversione della giustizia e per coloro che emettono decisioni di Torà in contrasto con la Halakhà”.
R. Pinechàs Kehati (Polonia, 1910-1976, Stato d’Israele) nel suo commento alla Mishnà spiega che il ritardo della giustizia avviene quando la decisione legale è chiara e i dayanìm tergiversano nell’emettere il verdetto; perversione della giustizia avviene quando viene assolto il colpevole e condannato l’innocente. Decisioni contrarie alla Halakhà avvengono quando viene permesso ciò che è proibito e proibito ciò che è permesso.
La punizione della spada corrisponde alla trasgressione commessa, perché pervertendo la giustizia colui che è stato ingiustamente dichiarato perdente in una causa, fa giustizia sommaria fino a commettere un omicidio. R. Kehati cita anche il Talmud babilonese (trattato Shabbàt, 32b) dove è detto: “Se hai visto una generazione piena di disgrazie, vai a verificare i dayanìm d’Israele, perché le disgrazie che capitano nel mondo avvengono solo per via dei dayanìm d’Israele […]. E il Santo Benedetto non fa risiedere la Sua presenza (Shekhinà) su Israele fino a quando non spariscano giudici e ufficiali giudiziari corrotti in Israele, come detto dal navì (profeta) Isaia: «Ristabilirò i tuoi giudici com’erano anticamente, e i tuoi consiglieri com’erano al principio. Dopo questo, sarai chiamata città della giustizia, città fedele» (Yesha’yà, 1:26)”.
R. Simcha Bunim Bonhart di Przysucha (Polonia, 1765-1827), citato nell’edizione della Torà pubblicata da Mesorah Publications, spiegava che la Torà ripete due volte la parola giustizia perché bisogna perseguire la giustizia solo con giustizia e non con mezzi disonesti.
Il midràsh citato da Rashì è non è il solo che commenta le parole “Perseguirai giustizia, giustizia”. Nel Talmud babilonese (trattato Sanhedrin, 32b) è detto: “I maestri hanno insegnato: «Perseguirai giustizia, giustizia» [significa] che bisogna seguire i maestri nelle rispettive case di studio dove vi era un bet din stabile: R. Eli’ezer a Lod, R. Yochanan b. Zakkai a Beror Hail, R. Yeoshua’ a Peki’in, Rabban Gamliel a Yavne, R. Akivà a Benè Beràk e R. Mattià a Roma”!