E’ inaccettabile che si chieda allo Stato ebraico di non reagire ai tentativi di invasione di centinaia di terroristi che si nascondo dietro donne e bambini. Non sono manifestazioni pacifiche ma operazioni pianificate per portare la violenza e il terrore
In tanti anni di guerra su Israele, in verità raramente mi sono trovata così innervosita dall’atteggiamento dei media e dei politici europei, come nella reazione delle prime pagine, sul trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme e sulla cosiddetta “strage” o meglio “massacro” di palestinesi sul confine di Gaza.
Intanto, cos’è una strage? O perfino un “massacro”” legato a un “genocidio” come ha detto quell’inqualificabile dittatore turco che è Tayyp Erdogan? “Un massacro è una situazione” ha scritto il giornalista Ron Ben Yshai, Premio Israele “in cui le vittime inermi sono completamente alla mercè della parte più forte, che li uccide approfittando della loro impossibilità di cambiare il loro fato”. Tutto il contrario di quello che è successo: qui le vittime sono state spedite all’assalto del confine dall’organizzazione terrorista Hamas, organizzate, spesso con pagamenti in denaro o con ordini di squadra, o con un desiderio islamista di martirio, con lo scopo di uccidere i nemici israeliani dopo averne sfondato il confine nazionale con la violenza, e con gruppi armati al centro dello scontro. 24 dei 50 uccisi erano guerrieri di Hamas.
Ma i giornali di tutto il mondo, quanto banalmente e con volontaria ignoranza, hanno adorato ironizzare, sanzionare, lacrimare sulla doppia immagine da una parte di Ivanka Trump che elegante e felice svelava la targa nella nuova dell’ambasciata a Gerusalemme nel quartiere di Arnona, e dall’altra la grande battaglia spontanea, le donne, i bambini che nella lotta per la loro terra e nella fame indotta da Israele (che dal 2007, ritiratasi completamente da Gaza, ha solo cercato di seguitare a dare aiuto umanitario contenendo tuttavia il terrorismo assassino che promana dalla Striscia) marciavano in una manifestazione civile, esprimendo pacificamente il loro dissenso verso Israele per una politica che li discrimina, e anche verso Trump per aver deciso di trasportare l’ambasciata a Gerusalemme. Un sacco di bugie, una facile equazione di immagini che non c’entrano nulla l’una con l’altra, un volontario fraintendimento delle intenzioni di un’organizzazione che opprime la sua popolazione fino a farla morire di fame per la sua scelta bellicistica che ha impedito qualsiasi sviluppo e anche qualsiasi investimento da ogni parte, anche da parte europea. Chi va a investire a Gaza, nelle mani di Ismail Hanje e di Sinwar? La garanzia è che gli investimenti finiscano in missili e mitra, in allenamenti militari e in educazione all’uso della violenza. E che niente vada in tecnologia, case, cibo, acqua, ospedali… Persino Abu Mazen ha smesso di finanziare Gaza temendo che Hamas usi i suoi soldi contro di lui.
La scelta dell’ambasciata a Gerusalemme, senza ora entrare di nuovo nei particolari, è una scelta storica e di verità che conferisce al popolo ebraico il riconoscimento al medesimo diritto che hanno tutti i popoli, quello a designare la loro capitale. Il che, per altro, era già avvenuto dalla fondazione dello Stato e, nel cuore del mondo ebraico, da sempre, anche nella diaspora. La scelta di Donald Trump restituisce realtà a una contesa che oggi è disegnata sullo status quo e domani potrebbe voler dire chissà quale arrangiamento in città fra le due parti: questo Trump l’ha detto, auspicando possibili future trattative, anzi, spingendole. Intanto, la capitale, dove si trova la Knesset, il Governo, la Corte Suprema, la storia intera da David in avanti, è riconosciuta. E basta.
Ma Hamas non ha mandato quarantamila persone a sfondare il confine per questo: la sua battaglia è esistenziale, già il 30 marzo altri morti avevano punteggiato i soliti scontri, la solita guerra contro gli ebrei e per prendere la leadership del mondo palestinese, oltre che per ricordare al mondo arabo di sostenere Hamas e per riaffermare la propria natura islamista belligerante punteggiata di Shahid e ricordare all’Occidente che essi devono essere tradotti nella ideologia corrente in “combattenti per la libertà”.
E’ ridicolo ma vero: il Sud Africa, che ha protestato duramente e ritirato l’ambasciatore, ha chiesto a Israele di uscire a Gaza. Peccato che ne sia uscito dieci anni fa, e con quale risultato glorioso! Erdogan accusa Israele di genocidio, mentre elimina sistematicamente i curdi. Gli europei, che sparano ai loro terroristi senza problemi, accusano Israele quando ferma le loro masnade esplicite sul confine.
I manifestanti erano in buona parte uomini di Hamas che dirigevano la folla armati; un drappello di otto carichi di esplosivo è stato fermato mentre con le cesoie si avvicinava al recinto; i giovani che hanno cercato di sfondarlo avevano in genere bombe molotov, cesoie, coltelli e spesso anche armi da fuoco. Gli altri, bruciando i copertoni che in una specie di nemesi intossicavano anche loro, coprivano in una massa di donne e ragazzini i drappelli di Hamas. Se questi ultimi fossero entrati, avrebbero ucciso, esploso, avrebbero assalito i kibbutz, le auto, i passanti… poteva Israele permetterlo? No di certo. Poteva lasciare che cinquantamila manifestanti si accalcassero e sfondassero il confine? Certo che no.
Hamas ha avuto una vittoria di carta: ha ottenuto che la carta e i teleschermi si riempissero delle sue immagini e che tutti i corrispondenti stranieri cascassero nella trappola dei morti a fronte della festa dell’ambasciata. Che pacchia! Ma si sa che a sera gli uomini di Hamas dopo le pressioni dell’Egitto e avendo visto che la West Bank non lo seguiva, sono andati a ordinare alla gente sul confine di tornare a casa e di restarci anche il giorno dopo. Adesso vedremo. La storia non è finita; non finisce mai, soprattutto quando un’organizzazione come Hamas, che giura di uccidere tutti gli ebrei e di distruggere l’Occidente, mentre tiene il suo popolo in uno stato di fame e di sete, viene esaltata dall’Occidente come un eroe.
Le reazioni diplomatiche non sono state tuttavia quelle che Hamas sperava: viviamo un’epoca in cui il mondo sunnita tiene più a Israele come alleato contro l’Iran che a Hamas che ne è intimo amico. Ha certo condannato, ma quasi doverosamente, senza enfasi. Per ora, i leader di Hamas stentano a dare un significato e un seguito alla saga di tutti quei morti. La sua leadership è solo feroce, non abile. Solo l’Europa sembra cadere sempre nella sua trappola pseudo umanitaria.