La sofferta e controversa relazione tra ebrei e non ebrei, un disprezzo lungo secoli e l’antisemitismo moderno che differisce da quello antico. Quali sono le radici in cui esso affonda e in quale misura differisce dall’antigiudaismo? Cosa accomuna Tacito, Seneca e Hitler? C’è un filo che congiunge ebrei e “gentili”?
In “Antisemitismo e sionismo. Una discussione” Abraham B. Yehoshua si cimenta nel ruolo di storico, professione lontana da quella di romanziere e scrittore immaginifico di “Viaggio alla fine del millennio”, “Il signor Mani” e “Un divorzio tardivo”. Parlare di antisemitismo è secondo lui possibile solo grazie a una rassegna storica e un’analisi scientifica del fenomeno nei secoli. Secondo lo scrittore la flessibilità degli ebrei della diaspora, la sovrapposizione e compenetrazione di vecchi valori nazionali e religiosi – compreso il lavoro di immaginazione – avrebbe potenziato la crescita spirituale nei millenni e di pari passo alimentato l’insoddisfazione degli antisemiti. L’odio e il disprezzo non nascerebbero dunque da una malsana forma di gelosia e invidia nei confronti di una presunta intelligenza, ma da diffidenza e paura nei confronti di una religione spesso fraintesa, un ibrido che si pone a cavallo tra tradizione, storia e cultura comuni. Nessuno è sfuggito alla deriva irrazionale dell’antisemitismo, nemmeno gli intellettuali sono stati risparmiati. José Saramago afferma che Ramallah sia come Auschwitz e Theodorakis sostiene a gran voce che “tutto il male viene da Israele”. In questo groviglio qual è il ruolo degli ebrei della diaspora? E quale il loro rapporto con lo Stato di Israele? Un saggio chiaro e sobrio, poco più lungo di 90 pagine, che tuttavia non si astiene dal fornire al lettore numerosi spunti di riflessione. Buona lettura.