Il quarto libro della Torà inizia con il censimento dei figli d’Israele. Al censimento presidiarono i dodici capi tribù. La Torà ne menziona i nomi: Elitzùr figlio di Shedeùr, Shelumièl figlio di Zurishaddày, Nachshòn figlio di ‘Aminadàv, Netanèl figlio di Tzu’àr, Eliàv figlio di Chelòn, Elishamà’ figlio di ‘Amihùd, Gamlièl figlio di Pedatzùr, Avidàn figlio di Ghid’onì, Achìe’zer figlio di ‘Amishaddày, Paghi’èl figlio di ‘Okhràn, Elyasàf figlio di Deu’èl, Achirà’ figlio di ‘Enàn.
R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) in Em la-Mikrà (Bemidbàr, 1:5), pubblicato nel 1863, osserva che lo studio dei nomi ebraici, la loro composizione e origine, è una terra inesplorata e auspica che qualche studioso se ne occupi. Riguardo al nome Shedeùr afferma che è composto dalle parole S-haddày e Or, luce. Shedeùr significa che “la sua luce gli è sufficiente” e non ha bisogno di altra luce. Questo deriva dal fatto che S-haddày significaShe-Day, cioè che è sufficiente. R. Benamozegh espande l’argomento citando fonti cabalistiche in Em la-Mikrà a Devarìm (fogli 156-159).
Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) tratta l’argomento nella Guida dei Perplessi (I, 63 alla fine del capitolo) dove scrive: “S-haddày deriva dalla parola Day che significa sufficienza, come nel versetto «E il materiale preparato era sufficiente (dayàm)» (Shemòt, 36:7). La lettera Shin [all’inizio del nome S-haddày] significa «che» come nella parola «she-kvar» (che già) (Kohélet, 4:2). Pertanto il significato [di S-haddày] è Colui che è sufficiente. Con questo si intende dire che Egli non ha bisogno altro che di se stesso in riferimento all’esistenza di ciò che ha creato […]”.
Nel versetto della parashà appaiono anche i nomi Elitzùr, Tzurishaddày e Pedatzùr composti dalla parola Tzur. A questo proposito il Maimonide (Guida, I:16) spiega che “Tzur è un termine equivoco, cioè con significati diversi. Il significato primo è quello di montagna. Denota anche una pietra dura come chalamìsh (silice), come nelle parole «Spade di pietra» (Yehoshùa’, 5:2). [La parola Tzur] denota anche il nome della roccia dalla quale le pietre sono state estratte, come nel versetto: «Considerate la roccia dalla quale siete stati estratti» (Yesha’yà, 51:1). Poi, come derivazione di questo significato, il termine [Tzur] fu usato in modo figurativo per designare la radice e il principio di ogni cosa. Per questo dopo le parole appena citate, la Scrittura continua dicendo: «Considera Avrahàm tuo padre ecc.» per dare un’interpretazione dalla quale si capisce che «la roccia dalla quale sei stato estratto» è «Avrahàm tuo padre»; segui quindi i suoi passi, aderisci ai suoi insegnamenti, acquista il suo carattere, così come le caratteristiche di una roccia appaiono in ciò che è stato estratto da essa. In considerazione di quest’ultimo significato, Dio, sia lodato, è denominato Tzur, in quanto Egli è il principio e la causa di tutte le cose eccetto se stesso. Di conseguenza è detto: «La roccia, la cui opera è perfetta» (Devarìm, 32:4) [e altri versetti simili]”. Pedatzùr può quindi significare che si chiama così chi è stato riscattato (padà) dall’Eterno.
Da notare che la parola Tzur fu usata nella dichiarazione d’indipendenza dello Stato d’Israele proprio grazie al fatto di essere un termine equivoco. L’ultimo paragrafo iniziò con le parole: “Con fiducia nella Roccia d’Israele noi firmiamo con le nostre mani questa dichiarazione…”. I rappresentanti dei partiti fedeli alla Torà avevano insistito per l’inserimento del nome dell’Eterno nella dichiarazione d’indipendenza. I rappresentanti dei partiti marxisti si erano opposti. La parola Tzur soddisfò tutti.